L'Elisir d'amore
ovvero la commedia italiana
Uno spettacolo avvincente ed impegnato allo stesso tempo, questo Elisir d'amore, andato in scena domenica 12 ottobre presso il Teatro Municipale di Piacenza. Avvincente in quanto, pur seguendo un solco tradizionale, la regia ha saputo filtrare alcuni aspetti contemporanei che hanno arricchito la lettura dell'opera. Impegnato perché l'opera è stata eseguita con l'apertura di tutti i tagli e con una attenzione alla visione globale, una consapevolezza collettiva dello spettacolo veramente inusitati per un cast di giovani.
L'ottima regia di Leo Nucci si è rifatta direttamente alla Commedia italiana di Vittorio De Sica e Luchino Visconti. Il riferimento però è misurato: risulta, nello stesso tempo, intrigante e commovente. Una chiara allusione al «do ut des» che sempre è esistito tra l'opera buffa (passando dalla Commedia dell'arte) e la Commedia cinematografica (passando per quella teatrale) e che permette di comprendere questo Elisir d'amore attraverso una lettura delicata e dolente d'una meta-commedia.
La visione globale, di cui dicevo prima, non sottintende la negligenza del particolare che, anzi, è ben curato e offerto con naturalezza. Costumi (l'opera è ambientata gradevolmente negli anni Cinquanta del Novecento), oggetti, posizioni dei personaggi sul palcoscenico denotano un lavoro di massima precisione esercitato sul libretto (come raramente accade).
All'inizio del primo atto, i contadini, sotto un sole cocente, mangiano nelle gavette. Il libro, che Adina legge per far passare gradevolmente il tempo ai contadini durante la sosta, diventa veicolo simbolico, se non di supremazia, quanto meno di conoscenza, fino ad arrivare nelle mani di Belcore che non sa cosa farsene del libro (è uomo d'azione! Che diamine!) mentre è impegnato a corteggiare sia Giannetta, sia Adina. Infine, Dulcamara arriva in carrozza, in una carrozza tutta d'oro, in maniera da meravigliare i contadini e metterli in soggezione.
Che dire, poi, dell'attenzione con la quale si è gestito sia il tamburino (all'ingresso di Belcore) sia la tromba di Dulcamara, entrambi sul palcoscenico, seguiti passo passo dall'attento filo invisibile che li legava (costoro giovanissimi) alle indicazioni del direttore d'orchestra.
Veniamo ai cantanti. La splendida prestazione del tenore Francesco Castoro ha presentato, fin dalle prime battute, un Nemorino come un giovane “naturalmente” innamorato di una ragazza che (in un primo momento) non lo fila. Ha evitato di proporci il solito reietto imbecille. Ha saputo gestire il personaggio dandogli il suo giusto decoro. E quando si è trattato di renderlo ubriaco (dopo aver bevuto allegri sorsi di Bordò), non ha finto l'ubriacatura, ma si è comportato come “istintivamente alticcio”. Dalla voce bella, luminosa e sempre intonata, Francesco Castoro ha disimpegnato il suo Nemorino con grande intelligenza ed eleganza. Il suo «Chiedi al rio perché gemente» mi porta, quasi mnemonicamente, allo stesso attacco che Ferruccio Tagliavini realizzò per una incisione completa dell' Elisir (edizione, detto per inciso, realizzata a Praga nel 1968, proprio mentre i sovietici stavano occupando la città, ponendo fine alla famosa Primavera). Una voce, quella di Francesco, che avrà modo di proporsi nel tempo su ben altri accenti, per ora ha realizzato splendidamente questo Nemorino, con «Una furtiva lagrima» dolce, notturna, trasognante che valeva (e anche più) l'ovazione finale.
Giuliana Gianfaldoni, giovanissima cantante, ci ha presentato un'Adina altrettanto umana e sensibile, sia quando consiglia Nemorino sul «chiodo schiaccia chiodo» riferendosi a come intendere l'amore; sia nel «Prendi per me sei libero», cantata con grande partecipazione, caricandola di patos e sentimento (ovazione finale meritatissima). Giuliana ha voce chiara, dalla serena e rilucente intonazione e dotata di ottimo timbro. Duttile e malleabile al tempo stesso. Ha disimpegnato il suo «Una tenera occhiatina» con una verve comica ineguagliabile.
Andrea Vincenzo Bonsignore è Belcore, che arriva in scena in mosquito e allude direttamente a Vittorio De Sica, nel maresciallo Antonio Carotenuto, estrapolato dalle quinte direttamente da «Pane Amore e Fantasia». Dalla voce pastosa e dal timbro squillante è Belcore a tutti gli effetti. In divisa da carabiniere, alto, bella presenza, inizia a fare strage di cuori non appena sceso dal mosquito. Andrea Vincenzo Bonsignore è, seppur giovanissimo, ottimo cantante e ottimo attore. Molto gustoso e assolutamente nella parte il suo «Come Paride vezzoso». Impareggiabile nel duetto con Nemorino: una «Ho ingaggiato il mio rivale» da interprete consumato.
Ludovica Gasparri è Giannetta, che in questa edizione appare quale riferimento diretto alla «Bersagliera» che Gina Lollobrigida interpretò per il film sopra accennato. Figura agile e ottima attrice. Ha realizzato una Giannetta tutta fuoco e fiamme dalla bella voce e convincente nel suo ruolo di ficcanaso nonché di diretta rivale di Adina (bellissima la sua figura volitiva che spadroneggiava sul palcoscenico, aiutata dall'azzeccatissimo costume).
Infine Dulcamara di Daniel Giuliani, dalla voce pastosa, robusta, con un timbro penetrante. Giuliani ha realizzato un Dulcamara da manuale, veramente ineccepibile per coinvolgimento nella parte, per arguzia nel declinare certe posture comiche, consapevole di rappresentare un archetipo che però è stato, da lui stesso, reso umano e credibile. Irresistibile nel suo «Ecco qua: così stupendo»; e ancora, nel duetto con Nemorino, quando lo raccomanda sornione «Impacciar se ne potria / un tantin l'autorità». Pronto a cavarsi d'impaccio e rappresentare tutti i ciarlatani del mondo: da Dulcamara stesso ai venditori televisivi dei giorni nostri! Ma il Dulcamara di Giuliani ha un cuore e riesce a meravigliarsi, se non a commuoversi, quando scopre che il suo prodotto fasullo funziona davvero «Cara, mirabile la mia bottiglia!».
Cosa altro dire? L'orchestra giovanile «Luigi Cherubini», certo, sempre precisa e rassicurante coi cantanti; ognora partecipe col maestro direttore Stefano Ranzani. Il direttore d'orchestra ha saputo leggere questo Elisir con semplicità e grazia, utilizzando le voci nelle loro peculiarità senza voler pretendere altro o forzare laddove altri usano forzare. Con solisti degni di nota come la tromba, il flauto e il fagotto. Così pure le percussioni, sempre ben misurate. E ancora il coro, generoso e impareggiabile, amalgama di canto genuino e sentito, ottimamente diretto da Corrado Casati.
Concludendo. Uno spettacolo bellissimo pieno di poesia e grazia. Che dovrebbe girare per i teatri italiani ed essere conosciuto in ogni dove. Il tocco leggero dedicato al cinema, che ha caratterizzato la regia, ci rimanda ancora a «Bellissima», di Luchino Visconti (con Anna Magnani), dove l'Elisir d'amore è parte integrante della colonna sonora. Ancora, le mondine che qua e là si intravedono tra il coro, e che fanno parte integrante della campagna padana degli anni Cinquanta, richiamano alla memoria, volente o nolente, «Riso amaro» di Giuseppe De Santis (che commedia non è, anzi).
Acclamiamo alla ottima riuscita di questa operazione artistica con cantanti giovanissimi (alcuni tanto giovani da essere accompagnati dai genitori, certo felici di vedere la giusta ricompensa dopo tanti sacrifici). Tanto giovani da risultare impacciati, quando non defilati, al rinfresco dopo lo spettacolo. Tanto giovani da farci sperare in futuro ancora ricco di possibilità, di capacità, di mezzi e di potenzialità per la musica e per l'arte tout court.
Francesco Cento
15/10/2014
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