RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Vienna

Elisir non sempre efficace

L'elisir d'amore, qui come dappertutto, è un favorito del pubblico. E a ragione. Ma capita sempre più che la gente si diverta, riconosca le melodie, si accontenti e non chieda altro – di più non chiedo, appunto. E quindi succede con il titolo di Donizetti come con tanti altri titoli operistici popolari che la loro fama è scontata e sembra bastare per garantire una buona recita. E invece no, se per buona recita se ne intende una che renda bene musica e spirito dell'opera.

Le vecchie scene che restano in piedi della venerabile regia del grande Otto Schenk sono deliziose, ma gli artisti, tranne qualche linea direttrice molto generale, fanno quel che vogliono. Il coro, questa volta preparato da Martin Schebesta (non capisco questa política di avere tanti maestri di coro), non pareva, nella prima parte, molto a suo agio, in particolare la sezione maschile: non sempre suonava affiatato e il testo non sempre veniva compreso perchè non lo si cantava chiaramente; in altri momenti il suono era piuttosto esiguo. A cominciare dal finale primo le cose miglioravano. L'orchestra non si sforzava troppo ma tecnicamente faceva un buon lavoro, anche se certi tempi e certe dinamiche di Guillermo García Calvo facevano pensare piuttosto a un'opera seria qualche volta troppo enfatica.

Andrea Caroll ci presentava un'Adina soubrette, agile e furba, di acuti buoni ma di colore metallico e totalmente impersonale. Se si fosse fatto come un tempo, quando si tagliava la sua grande scena finale, sarebbe stata soddisfacente, ma non ha l'entità per questo momento fondamentale. Difatti c'era poca differenza con la voce (esigua) della Giannetta di Hila Fahima.

Due degli artisti facevano il loro debutto nei ruoli di Belcore e Nemorino. Il baritono turco Orham Yildiz ha una voce mediocre, di colore poco interessante e alquanto limitata in zona acuta, ma capace di eseguire le agilità del duetto del secondo atto in modo più preciso, almeno per quanto riguarda il suo famoso collega. Come tutti gli altri, Yildiz inserisce parole, note, gesti e frasi dove pensa che possano avere effetto sul pubblico, e questo gli riesce molto bene, benché l'acuto finale dell'aria di sortita sia stato penoso.

Il Nemorino di Vittorio Grigolo, una delle due star della compagnia, non è molto timido. Buona presenza scenica, disinvoltura eccessiva, canto monotono tutto puntato verso il forte e mezzofortee (qualche scarso tentativo di mezzevoci risultava poco felice e comunque quasi privo di colore), mentre la voce è diventata scura ma anche opaca in molti momenti e non perciò più robusta. Indubbiamente l'acuto ancora regge, benché non sempre emesso in modo ortodosso, ma non sembra questo il migliore dei ruoli per certi esibizionismi. A dire il vero risulta sempre più interessante e migliore di qualche famoso (celebre qui in questo stesso ruolo), costretto oggi a spacciarsi per barocchista e/o mozartiano.

Ci resta ancora quello sfacciato di Dulcamara, un ruolo che è stato sempre uno dei cavalli di battaglia di Erwin Schrott, anch'esso molto apprezzato qui come in tanti altri posti (mi pare). Dal punto di vista puramente vocale tutto a postissimo, ma neanch'egli si privava (e perchè avrebbe dovuto farlo in simile contesto?) di effetti di ogni sorta, alcuni più validi, altri molto meno, e in certi momenti il canto proprio ne risentiva: commedia o meno trattasi sempre di belcanto. Ma a quanto pare questa piccola precisione non va di moda nella commedia o non importa in assoluto.

Jorge Binaghi

22/11/2017

La foto del servizio è di Michael Pöhn.