RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Elisir d'amore … per sempre!

 

L'Elisir d'amore, andato in scena domenica 26 marzo sul palcoscenico del Carlo Felice di Genova, ha confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la freschezza e la longevità dell'intuizione scenografica di Lele Luzzati, nonché la viva presenza dei costumi di Santuzza Calì e la sperimentata e inossidabile regia di Filippo Crivelli.

Il palcoscenico del Carlo Felice quale primo interprete, quale scrigno che ha contenuto ed espresso un Elisir d'Amore da ricordare, da tenere a mente come certe feste alle quali si partecipa e dalle quali non si vuole venir via. Oppure quei pranzi (di nozze?) nei quali i manicaretti proposti sono all'altezza delle aspettative e dell'ottima qualità dei commensali.

Da questo scrigno sono state estratte alcune perle di rara bellezza. Una di queste perle è l'Adina di Serena Gamberoni, frizzante, ammaliante, tenera e spiritosa. Con bellissima voce ed espressione. Suono ben proiettato e sicurezza assoluta negli acuti. Irruente e prevaricatrice nel primo duetto con Nemorino («Per guarir da tal pazzia»), soave e remissiva nell'ultimo («Prendi, per me sei libero»). Un capolavoro il duetto con Dulcamara. Nella prima parte («Come sen va contento») la voce modula magistralmente una delicata angoscia («Quanto amore, ed io spietata») che giunge, però, ad una irruente determinazione («Una tenera occhiatina»). Applausi meritatissimi nel suo splendido «Prendi per me sei libero».

Assoluto il Nemorino di Francesco Meli. Quale altra considerazione aggiungere a una esecuzione che ha rasentato la perfezione, avendo disegnato il personaggio con totale presenza scenica, verve , la giusta melanconia e che, nonostante l'indisposizione (ne risente qualche emissione nelle mezze voci), conferma la sua voce dotata di magnifico smalto e squillante lucentezza e omogeneità, con espressione magistralmente modulata della più bell'acqua. Dizione scolpita e fraseggio incisivo. Il bis concesso per la «Furtiva lagrima» ne testimonia la generosità verso un pubblico che è letteralmente impazzito per lui.

Alfonso Antoniozzi, che sostituiva l'indisposto Roberto De Candia, ha reso un Dulcamara di pregio, entrando a buon diritto nelle perle di cui parlo sopra, e scolpendo un personaggio come un tuttotondo immenso, grandioso, un esempio indiscusso da usare quale monito per altri cantanti che volessero intraprendere questo ruolo, direttamente profuso dalla Commedia dell'Arte. Esecuzione impeccabile, voce fusa nel bronzo vivo, portamento ineccepibile, dizione incisiva come il fraseggio stampato a caratteri d'oro, coinvolgimento totale del pubblico ad ogni sua comparsa. Infine divertente (anche), con quella elegante caratterizzazione del vecchio «Tre denti» durante la Barcarola con Adina (una Gamberoni che tiene egregiamente “il sacco” ad Antoniozzi), come raramente se ne sentono.

Da manuale il Belcore di Federico Longhi, voce pastosa e calda, timbro vigoroso e dizione elegante, costruisce il suo personaggio forgiandolo con un «physique du rôle» importante e ammiccante. Sornione al punto giusto nel suo «Come Paride vezzoso», poi prosegue nel ruolo di credibile spaccone («Sarai presto caporale») ma, in fondo, senza esporsi troppo («In fin ch'io tengo a fren le mani»), tutto forgiato con una verve canora raffinata e gentile.

Condotta con vera grazia e spensieratezza la Giannetta di Marta Calcaterra la quale conduce con giusto spirito la scena con il coro femminile delle «Miss Inciucio» paesane. L'orchestra è ottimamente condotta da Daniel Smith, con gestione sicura e molto attenta a non prevaricare mai sulle voci, anzi si dimostra accorto sostenitore dei cantanti: «Una furtiva lagrima» su tutte! Bravissimo il mimo Luca Alberti, nel ruolo del Moretto di Dulcamara, diventato «Daniele» al posto del mitico «Gaetano».

Francesco Cento

30/3/2017