Al teatro di Villa Torlonia
il primo Don Giovanni
Fra le diverse declinazioni musicali del mito di Don Giovanni, ispirate a El burlador de Sevilla di Tirso de Molina, quella vergata dalla giovane ma non inesperta mano di Alessandro Melani è accreditata come la prima. Della vicenda lo attrasse certo l'aura metafisica, l'allusività a un mondo infero che accompagna il teatro d'opera sin dai suoi primordi; pensiamo al viaggio ultraterreno di Orfeo che, nelle sue varie incarnazioni, è ricerca della trascendenza, immersione nell'ignoto della psiche, pellegrinaggio attraverso quel lato oscuro che si sottrae alla limitatezza dei nostri sensi. Così Acrimante, tale è il nome primigenio dell'impenitente libertino, condannato dal re Atrace per la sua dissolutezza, in una scena di onirica pregnanza sogna di essere morto, e fra le tenebre dell'oltretomba non trascura di concupire niente meno che Proserpina. La tenebra lo avvolgerà veramente quando, con tragica protervia, oserà invitare a cena la statua di Tidemo, da egli stesso ucciso.
Invano cercheremmo in questo momento topico le vette tragiche raggiunte da Mozart. Detto ciò, la scrittura di Melani è estremamente godibile, colma di pathos e di ispirato melodismo. Il pregio del dramma risiede nella shakespeariana varietà, nella capacità di unire serio e faceto, carattere peculiare del teatro seicentesco. Un terreno ideale per il talento istrionico di Filippo Acciaiuoli, autore del testo dal quale Giovanni Filippo Apolloni trasse la definitiva stesura librettistica. L'allestimento, del Reate Festival in collaborazione con l'Accademia Filarmonica Romana, per la prima volta in epoca moderna riporta l'opera a Roma, dove debuttò nel lontano 17 febbraio 1669, presente Cristina di Svezia. Il teatro di Villa Torlonia, con la sua acustica perfetta e i suoi fasti neoclassici di recente restituiti all'antico splendore, è scrigno ideale per tale preziosità. Alessandro Quarta aderisce con fisica e sensuale partecipazione alle sinuosità della partitura, ben assistito dal Reate Festival Baroque Ensemble, delineando cristalline trame contrappuntistiche e accattivanti linee melodiche. Ne risulta una lettura estremamente viva e teatralmente vibrante, perfettamente aderente ai diversi registri testuali.
Lodevole tutto il cast, sia dal punto di vista vocale che interpretativo, con una menzione speciale per il Bibi di Giacomo Nanni, particolarmente a proprio agio nei panni del servitore antesignano di Leporello, e per l'Acrimante di Mauro Borgioni, oscuro e altero come si conviene al personaggio. Particolarmente spassoso Alessio Tosi nel ruolo di Delfa, anziana nutrice di Ipomene che, nella sua ansia di gioventù, mostra caratteri profondamente umani. Efficace anche Carlotta Colombo nel ruolo en travesti di Cloridoro, anche se tutti i numerosi interpreti meriterebbero una citazione per la chiarezza della dizione e per l'accurata recitazione. La cifra registica di Cesare Scarton restituisce la complessità di un mondo nel quale pianto e riso vivono in stretta contiguità. Quattro pannelli scorrevoli dal decorativismo vagamente klimtiano definiscono di volta in volta lo spazio scenico, abitato da passerelle oblique che alludono all'instabilità dell'esistenza. Anna Biagiotti confeziona costumi di foggia moderna, perfettamente funzionali all'atemporalità del mito. Il sesso che muove la folle giostra della vita viene evocato, a volte esplicitato in rapidi gesti, senza scadere mai nella volgarità. Ben vengano tali recuperi, se restituiscono con questa efficacia un mondo solo apparentemente distante, in realtà assolutamente vitale e pregno degli umani tormenti. Riccardo Cenci
30/9/2019
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