L' Ernani raffinato e meditativo di Muti
Scrive Franz Werfel nel suo romanzo dedicato a Verdi: “In ogni momento, qualunque fosse l'ora segnata dal grande orologio, egli rimaneva l'uomo del suo tempo, mai l'uomo di ieri, mai l'uomo di domani, sempre l'uomo di oggi e, come tale, libero e solitario sul vertice del giorno”. Un giudizio illuminante che ci sentiamo di condividere, e che ben individua le peculiarità di un artista perfettamente in sintonia con la propria epoca. Con Ernani il compositore, riluttante ad abbracciare qualsiasi teoria avanguardista, ma nel contempo conscio del logoramento inarrestabile dei canoni melodrammatici, confeziona una partitura in grado di sublimare un'intera tradizione senza per questo abbatterla del tutto. Con una ammirevole economia di mezzi, piegando il lessico corrente ai propri scopi, il giovane Verdi costruisce un dramma che corre dritto e senza indugi verso la propria tragica conclusione. Riccardo Muti sceglie ancora un titolo del compositore di Busseto per l'apertura stagionale del Teatro dell'Opera di Roma, degna conclusione delle celebrazioni del bicentenario, e la memoria va all'inaugurazione scaligera del lontano 1982, forte di un cast formidabile composto da Domingo, dalla Freni, da Bruson e da Ghiaurov, al giorno d'oggi ben difficilmente ripetibile. Si tratta del primo contatto fra Verdi ed il teatro di Victor Hugo, con il quale dimostra una profonda affinità. Il personaggio di Ernani, spinto alla rivolta dal proprio desiderio di vendetta, ma anche da un ribellismo febbrile ed innato che sfocia in una cieca vocazione all'estremo sacrificio, colpisce profondamente l'immaginario del musicista, sollecitandone la parte più fosca e pessimista. Il corno offerto come pegno a garanzia del fatale giuramento che lo costringe a togliersi la vita sul limitare della felicità è un po' come il filtro d'amore nel Tristano, la semplice materializzazione di un qualcosa che è già nel personaggio, ed al quale questi non può sfuggire in alcun modo. L'osservatore attento, inoltre, troverà in Ernani innumerevoli anticipazioni del Verdi maggiore. Dalle prime schematiche incursioni nella tematica del potere, alla centralità della vendetta, al gioco fra verità e finzione simboleggiato dalla misteriosa figura che si aggira fra gli invitati alla festa nuziale, che troverà ben più ampia definizione nelle pagine di Un ballo in maschera. “Ogni cor serba un mistero”: questa frase, con la quale Elvira giustifica la propria singolare predilezione per il reietto Ernani di fronte alle profferte amorose del sovrano, sembra quasi il presagio della complessità caratteriale di un personaggio come Rigoletto, la prefigurazione del futuro superamento degli stereotipi melodrammatici. I sentimenti individuali e le passioni che agitano l'animo umano trovano in Ernani, certamente il frutto migliore dei giovanili impeti verdiani, l'espressione musicale più compiuta. I protagonisti, pur senza subire ancora rilevanti mutamenti psicologici, restando nel solco di un sostanziale schematismo caratteriale, esprimono una sovrabbondante ricchezza interiore che ne esalta la vibrante vitalità.
Dal punto di vista dell'esecuzione musicale Muti fa un lavoro di alto livello, grazie anche al pregevole apporto dell'orchestra. Nel corso degli anni il direttore napoletano ha depurato la sua lettura da tutti quegli aspetti che potremmo definire da romanzo di cappa e spada, evitando ogni romantico eccesso. Ne scaturisce un arco narrativo forse meno serrato rispetto al passato, ma affascinante nella sua cristallina chiarezza, ricco di una abbondanza di dettagli inaspettata. Il flusso melodico dal quale è pervasa la scrittura ne risulta potenziato, gli accompagnamenti si giovano di una concertazione attentissima e prodiga di colori. Un Verdi meno corrusco e più meditato dunque, lontano da qualsiasi stereotipo interpretativo e profondamente personale.
Nell'ambito di un cast perfettamente aderente al disegno di Muti spicca il Silva di Ildar Abdrazakov, nobile e autorevole quando fa il suo primo ingresso in scena, subito pronto al ripiegamento malinconico dell'aria “Infelice! e tuo credevi”, implacabile nel perseguire con ferrea ostinazione i suoi propositi di vendetta. L'accento scultoreo delinea l'immagine di un personaggio fuso nel bronzo, di grande evidenza tragica. La vocalità morbida e giovanile di Luca Salsi risulta adatta al ruolo di Don Carlo, in particolare nei momenti ancora pregni di sfumature melodiche di ascendenza belliniana. Francesco Meli è un Ernani meno robusto rispetto alla tradizione ma più vicino alla tipologia del tenore romantico, avvolto da un'aura di sognante malinconia. Sfoggia un timbro molto bello, delicatissimo nei momenti finali dell'opera, anche se il registro acuto non è sempre squillante come si conviene. Il ruolo belcantista di Elvira non risulta particolarmente congegnale alla voce drammatica di Tatiana Serjan, la quale offre una prova un poco al di sotto delle aspettative.
Lo spettacolo di Hugo de Ana presenta una scena unica composta da un'architettura cinquecentesca le cui pareti, coperte da un robusto e severo bugnato, mediante piccoli spostamenti risultano funzionali all'intero corso della narrazione. Regia nel solco della tradizione e senza grossi spunti di novità, comunque abile nei movimenti delle masse. Splendidi infine i costumi, di un colorismo che richiama la grande pittura veneta del Rinascimento.
Riccardo Cenci
2/12/2013
Le foto del servizio sono di Silvia Lelli.
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