RECENSIONI
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Londra

Il ritorno del pancione

Si trattava della prima delle repliche in questa stagione dell'enorme Falstaff, e non solo per la stazza. Si riproponeva lo spettacolo firmato da Robert Carsen, visto anche alla Scala, molto ingegnoso e intelligente anche se mi domando sempre cosa ci guadagnamo a cambiare il secolo di Shakespeare per gli anni 50 del secolo scorso. È vero che Verdi diceva che si tratta di una figura immortale e di tutte le epoche ma avere una cucina americana dell'epoca al secondo atto, scena seconda (piuttosto americana e non tanto inglese) insieme ai tipici vestiti scozzesi (per alcuni dei signori, mentre altri sono British e Ford si presenta travestito da giovane iracondo) non sembra troppo coerente. Se il liuto è una radio di allora – e quindi oggi tanto arcaica quanto un liuto – e non esiste paravento magari ci si può ridere, ma i giovani amanti si vedono costretti, come già all'atto primo, e quindi la gag si ripete e non fa più effetto, a nascondersi sotto il tavolo di cucina. Il cavallo che accompagna all'inizio dell'atto terzo le meditazioni filosofiche del protagonista provocava grande ilarità (che non so se è quanto cercavano Verdi e Boito) ma così il piccolo preludio andava a farsi benedire – certo, è solo una piccola dimostrazione in più del genio di Verdi e quindi si può tralasciare. Il pubblcio rideva pure in altri momenti e, come succede spesso con le opere comiche e soprattutto con questa da quando ci sono i sopratitoli, lo faceva prima o dopo che gli artisti dicessero o cantassero le parole che dovrebbero far ridere (di solito si legge prima). Tutti però sembravano godersi, deliziati, una bella serata leggera di sabato notte; non so in quanti si rendessero conto che veniva loro offerto un capolavoro che chiude la carriera di uno dei grandissimi della lirica (ma... non ha nessuna melodia memorabile: davvero non ce l'ha?) e non un prodotto usa e getta. Mamma mia è un bellissimo musical, ma non è il Falstaff… È anche vero che tutto nel mondo è burla.

Nicola Luisotti dirigeva bene ma in molti momenti l'orchestra suonava inutilmente forte e, per esempio, nella scena seconda dell'atto primo la concertazione soffriva parecchio per un poco riuscito coordinamento tra uomini e donne. Nell'ultima scena la difficile fuga veniva invece molto bene. Piccola parentesi: il miracolo del Falstaff si trova anche nell'architettura armoniosa dei tre atti divisi ciascuno in due scene… Andrebbe rispettata anzichè pensare a uscire prima con solo una pausa tra i due primi da un lato e il terzo dall'altro.

Sul palcoscenico due erano le prestazioni di rilievo. I due rivali, Falstaff e Ford, venivano impersonati rispettivamente da Bryn Terfel e Simon Keenlyside: entrambi conoscono e abitano i loro personaggi e non c'è da stupirsi se proprio il loro incontro nel bel mezzo dell'opera sia stato il momento artisticamente più felice della serata. Terfel per fortuna raffrenava più di una volta il suo noto istrionismo e solo in qualche momento si consentiva qualche caccola: la voce era enorme e potente anche se l'acuto tendeva a essere un po' corto. Keenlyside cantava il suo monologo della gelosia in modo sbalorditivo e come al solito interpretava mettendocela tutta ma con la sua naturale distinzione. Per il resto solo Carlo Bosi (Dottor Cajus) era egualmente efficace, ma il ruolo è molto più piccolo. Michael Colvin interpretava Bardolfo meglio di quanto non lo cantasse. Craig Colclough ci offriva un buon Pistola. Anna Prohaska ha una voce piccola, metallica e alquanto fissa, ma i piani sono buoni e così la sua Nannetta senza risultare particolarmente brava era più che corretta. Frédéric Antoun ha dei mezzi interessanti ma il suo Fenton risentiva di un'emissione dove l'acuto sembra essere il timbro naturale e adeguato alla parte, ma negli altri registri è troppo scuro ed ingolato. Poi non si vede il bisogno che il tenore romantico canti a squarciagola negli insiemi. Marie McLaughlin sostituiva la collega annunciata; la sua Meg ha sempre classe ma praticamente la si sentiva pochissimo.

Marie Nicole Lemieux è una forza della natura, e la sua Quickly è molto vivace e comica ma un po' sopra le righe. La voce è ottima, con dei bei gravi, ma la linea vocale è un po' discontinua con tanta attività frenetica. E l'Alice di Ana María Martínez è bellissima da vedersi, ma alquanto leziosa e vocalmente modesta: il timbro risulta sempre più duro e poco grato e non sono poche le note rigide o eccessivamente appoggiate – l'ultimo atto in questo senso è stato poco bello.

Jorge Binaghi

12/7/2018

La foto del servizio è di Catherine Ashmore.