Falstaff
alla Scala di Milano
L'opera Falstaff, commedia lirica e ultimo spartito di Giuseppe Verdi, torna al Teatro alla Scala nel bellissimo spettacolo creato da Robert Carsen nel 2013. Ecco il caso di una produzione riuscita a trecentosessanta gradi, e senza voler stilare una classifica è evidente che si tratta del miglior spettacolo della stagione in corso, sia musicalmente sia visivamente.
Quando Verdi, sollecitato da Ricordi e dall'ottimo libretto di Boito, decise di comporre Falstaff non fu certo per “recuperare” quel lontano tonfo de Il Giorno di Regno, bensì per la volontà di scrivere un'opera non tragica, che nel suo catalogo era totalmente assente. Il prodotto fu, e resta, uno dei capolavori teatrali operistici di tutti i tempi, un perfetto equilibrio di commedia brillante con accenti variegati. Impressionante l'inventiva musicale di un “vecchio” ottantenne ma ancora giovane d'idee, brillante nelle scelte ritmiche e nel contrappunto.
Robert Carsen sposta l'azione negli anni '50 del secolo scorso, con precisa impostazione tra classe sociali diverse e un sofisticato ricordo dell'era edoardiana orma sorpassata. L'ironia, sempre elegante e mai sopra le righe, beffarda e ricercata è rappresentata ai massimi livelli teatrali. Geniale l'aver trasformato l'osteria della Giarrettiera in un esclusivo club londinese, ove il panciuto protagonista vivacchia senza denaro, mantenendo però lo status di Sir nei modi e nei gusti. La locanda, esclusivo ristorante borghese, è luogo bellissimo nel quale iniziare il buffo intrigo tra le comari e il quartetto maschile. Lascia mozzafiato la scena seconda del secondo atto, una bellissima e immensa cucina moderna, quella sognata da tutte massaie ma che per tante solo sogno restò. Alice in abito griffato si muove in maniera così elegante da parafrasare ironia e simpatia. Nel finale manca la grande scena della foresta con quercia, ma non è gran danno, l'azione si svolge nel parco delle scuderie e l'effetto notturno è garantito, tutti i protagonisti nel cantare la stupefacente fuga s'incamminano in abiti da gran sera, la borghesia che prende possesso nel gradino sociale, a una tavola imbandita a festa. Carsen cesella ogni passo, ogni azione, sia singola sia di gruppo, con un'eleganza e una vena ironica travolgente. Nulla è fuori luogo e il filo conduttore sempre teso e preciso. Le scene di Paul Steinberg sono trionfali e di accurata immedesimazione anglosassone, Brigitte Reiffenstuel disegna dei costumi straordinari, curatissimi e di una bellezza sconcertante. In definitiva un grande spettacolo.
Il versante musicale non è da meno. Daniele Gatti firma una delle sue migliori direzioni (assieme al Pelléas fiorentino del giugno scorso). È ammirevole la precisione del passo orchestrale, condiviso dagli ottimi complessi scaligeri, una tavolozza di colori stupefacente, marcata da una concertazione sempre leggera ed elegante, precisa, narrazione drammaturgica raffinata e un equilibrio perfetto tra buca e palcoscenico. Quest'ultimo era particolarmente efficace nel suo complesso proprio per il lavoro certosino di Gatti, il quale ha voluto trovare equilibri e risultati complessivi che hanno permesso ad ognuno di emergere ma sempre in un contesto musicale serrato ed incalzante. Il cast dimostrava una sostanziale compatta uniformità d'interpretazione seppur con qualche distinguo. Protagonista era il giovane Nicola Alaimo, il quale, ipotizzo, debuttava nel ruolo. Ha dimostrato un'ottima resa scenica accomunata con una prova vocale ragguardevole, soprattutto nel fraseggio e nel colore. Credo che se in seguito saprà calibrare ancor meglio i colori potremo aspettarci un'interpretazione d'alto livello. Ragguardevole anche il Ford di Massimo Cavalletti che in questo ruolo segna un passo molto elevato per quanto da me ascoltato. Impeccabile sotto tutti i punti di vista l'Alice di Eva Mei, una comare molto lady di sofisticata eleganza, dimostrando una precisa e gustosa vocalità. Al suo livello la straripante e simpaticissima Quickly di Marie-Nicole Lemieux dotata di corposa voce ben amministrata. Molto brava Irina Lungu, la quale all'ultimo momento sostituiva l'indisposta Eva Liebau, delicata nell'accento e musicalissima, puntuale seppur non molto incisiva la Meg di Laura Polverelli. Il Fenton di Francesco Demuro, pur dimostrando una limitata tecnica, nel complesso non sfigurava nell'insieme del cast. Divertenti e puntuali i due seguaci di Falstaff, che Patrizio Saudelli e Giovanni Battista Parodi hanno reso con molta efficacia e partecipazione. Strepitoso il Dr. Cajus di Carlo Bosi, eccellente cantante e stupefacente attore. Il coro del Teatro alla Scala ha come di consueto dimostrato l'ottima professionalità, in particolare per la precisissima “fuga” finale.
Applausi scroscianti e prolungati al termine, con numerose chiamate al proscenico per tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
2/11/2015
La foto del servizio è di Brescia e Amisano – Teatro alla Scala.
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