Merope: l'ombra di Farinelli
In scena a Innsbruck l'opera di Riccardo Broschi
Scelta accattivante e ricercata quella della Merope di Riccardo Broschi, fratello negletto dell'ancor oggi arcinoto virtuoso Carlo, detto Farinelli, presentata al Tiroler Landestheater nell'ambito delle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik. Una partitura sontuosa, recuperata dal direttore artistico Alessandro De Marchi dietro prezioso suggerimento del controtenore David Hansen, al quale era inevitabilmente affidato il ruolo che fu del già citato Farinelli in occasione della prima torinese del 1732.
Giusto presentare l'opera, nella sua prima esecuzione moderna, in un allestimento totalmente intriso di barocchismo. Operazione filologica ma non pedante, che anzi mira restituire le atmosfere carnascialesche della prima esecuzione mediante l'introduzione di tre balli, in sostituzione di quelli originari perduti e opera di un autore sconosciuto, rielaborati dallo stesso De Marchi a partire da musiche di Carlo Alessio Rasetti e Jean-Marie Leclair. Veri e propri intermezzi popolati da maschere della commedia dell'arte, curati con spassosa e dinamica levità. Una scelta che amplia notevolmente le proporzioni dello spettacolo, provocando qualche defezione fra gli spettatori nel terzo atto. Il successo dell'operazione è comunque notevole. Il pubblico, forse stanco dell'imperante Regietheater, dimostra di apprezzare le ardite prospettive barocche e i costumi fastosi, insieme alla regia sostanzialmente tradizionale di Sigrid T'Hooft. Quella di Riccardo Broschi è effettivamente una figura interessante, intrisa dello spirito dell'opera napoletana. La partitura alterna numerose arie davvero magnifiche (ad esempio “Se pensar potessi ognora” dal secondo atto), nelle quali risaltano tutte le doti di melodista del compositore, ad altre più convenzionali ma comunque efficaci nell'economia librettistica. Particolarmente curati i recitativi, attraverso i quali si snoda l'intricata storia della mitica regina vergata dal librettista Apostolo Zeno.
Sfortunatamente tormentata la vicenda esecutiva, in seguito all'improvvisa defezione del tenore Jeffrey Francis al quale doveva essere affidato il ruolo del tiranno Polifonte. Chiamato a pochi giorni di distanza dal debutto, Carlo Allemano ha accettato con coraggio l'ingrato compito. Vista l'impossibilità di imparare l'intera parte in tale ridottissimo lasso di tempo, si è deciso di farlo cantare dalla buca dell'orchestra con l'ausilio della partitura, affidando la gestualità scenica a un mimo (Daniele Berardi). Allemano riesce comunque a far valere la sua imponente personalità; scolpisce i recitativi con autorevolezza, espressività e dizione perfetta, canta l'aria “Non ascolto, che furori” con impeto e spigliata agilità. La partitura gli affida anche la conclusione del secondo atto, con l'aria “Nel mar così funesta non freme la tempesta”, eseguita stavolta senza da capo ma con grande partecipazione. Peccato solo che le circostanze avverse abbiano consigliato il taglio di alcuni numeri. Cantando la parte nella sua interezza, Allemano avrebbe certo conferito ancor più ampio spessore al personaggio. Anna Bonitatibus si impone nel ruolo del titolo per il timbro morbido e la varietà di accenti, che le permettono di delineare una Merope sfaccettata e commovente. Le sta accanto il volenteroso ma discontinuo David Hansen, impari alla parte di Epitide pensata per le formidabili doti canore di Farinelli. La dizione è oltremodo oscura, sovente incomprensibile, la voce diseguale nei diversi registri, il canto melismatico forzato. Le cose vanno meglio nei momenti cantabili, resi con toccante emotività e lirismo. Bravissima Arianna Venditelli nel ruolo di Argia, voce limpida e sicura, apprezzabili Filippo Mineccia (Anassandro) e Hagen Matzeit (Licisco). Infine Vivica Genaux (Trasimede), la quale non ha un timbro particolarmente bello ma sfoggia doti tecniche che le permettono di superare le ardue colorature con ammirevole facilità. Dalla concertazione di Alessandro De Marchi traspare il grande lavoro svolto sulla partitura. La sua è una direzione mossa, vitale e ricca di senso del teatro. La neonata Innsbrucker Festwochenorchester lo segue con partecipazione, mentre alcune trascurabili imprecisioni non guastano l'effetto complessivo. Il repertorio barocco si rivela ancora una volta miniera pressoché inesauribile di segreti e di perle inaspettate.
Riccardo Cenci
24/8/2019
La foto del servizio è di Rupert Larl.
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