RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


A Santa Cecilia un Festival per Prokof'ev

Eclettico e dirompente, oltremodo discusso come accade a tutti gli artisti costretti a muoversi nelle ristrette coordinate dell'estetica di regime, il genio di Prokof'ev ha animato un vero e proprio festival andato in scena all'Accademia di S. Cecilia. Un'occasione importante per chiarire una volta per tutte il suo ruolo e la sua collocazione nel panorama musicale del Novecento, anche tramite l'esecuzione di opere desuete quali le sinfonie, tutte poco presenti nei programmi concertistici ad eccezione della Prima e della Quinta. Un compito al quale non poteva sottrarsi Valery Gergiev, già in passato protagonista di formidabili escursioni nei territori russi, alternatosi alla guida dell'Orchestra del Mariinskij e dei complessi ceciliani. Per la prima volta nella storia dell'Accademia hanno risuonato le note dell' Ouverture russa, virtuosistica e magniloquente esposizione delle virtù e delle tradizioni nazionali. Naturalmente l'Orchestra di S. Cecilia, pur offrendo una prova pregevole, non può avere con la musica di Prokof'ev quel rapporto idiomatico che vanta l'Orchestra del Mariinskij, protagonista dei primi tre appuntamenti del Festival.

Dopo le sonorità dell' Ouverture, nel complesso ancora prevedibili, tocca al Primo concerto per violino introdurre l'ascoltatore nell'universo multiforme e bruciante di Prokof'ev. Qui tutto è sommamente spiazzante e lontano da qualsiasi accademismo. La struttura formale apparentemente ambigua cela un percorso circolare, secondo il quale il lirismo conclusivo richiama l'originalità dell'attacco, quel sorgere improvviso del violino che sembra nascere dal nulla. A questi elementi quasi onirici si contrappone l'irruenza dello Scherzo centrale, dal segno dirompente e prodigo di tensione. Leonidas Kavakos e Valery Gergiev hanno in comune un temperamento istintivo e ferino, anche se il direttore russo negli ultimi tempi sembra aver espunto alcuni caratteri di disordinato romanticismo. Il violinista greco sfoggia un suono deciso, comunque sempre estremamente controllato, mentre Gergiev lo accompagna con ammirevole chiarezza ed equilibrio. Kavakos esegue tutto con estrema naturalezza e afflato comunicativo, rendendo apparentemente facile una scrittura in realtà molto impegnativa per il solista. Come bis offre al pubblico il Largo dalla terza Sonata per violino di Bach, intriso di elegiaca commozione.

Seconda parte del concerto interamente occupata dalle musiche per il dittico filmico dedicato ad Ivan il terribile, parte di una trilogia che il regista Ejženstein non riuscì a completare. La versione oratoriale eseguita è quella predisposta nel 1962 da Abram Stasevic, collaboratore dello stesso Prokof'ev. Pur priva del corrispettivo visivo, la partitura resta impressionante nella sua tragica grandezza. Un colossale affresco non immemore della lezione di Mussorgskij nel quale si alternano momenti solenni, dalle sonorità telluriche, a brani sognanti e intimisti, il tutto plasmato da Gergiev con suprema maestria. Fra i momenti memorabili l'assedio di Kazan e la grande perorazione colma di pathos di Ivan ai Boiardi. Bravi i solisti, Roman Burdenko e in particolare Yulia Matochkina, maggiormente impegnata dalla partitura. Efficace Tommaso Ragno quale voce recitante in italiano, mentre naturalmente l'opera è stata cantata nell'originale russo. Pubblico entusiasta, a parte i soliti spettatori maleducati i quali fuggono non appena l'ultima nota è evaporata nell'aria, o ancor peggio quelli che hanno abbandonato la sala durante l'esecuzione. A tale proposito, sul manifesto di un concerto tenutosi all'Augusteo nel 1915, riportato a pg. 72 del programma di sala, si legge: “è vietato di entrare e di uscire dalla sala durante l'esecuzione dei pezzi”. Un ammonimento che, per quanto suoni dittatoriale, richiama regole di educazione che non andrebbero mai dimenticate.

Riccardo Cenci

15/12/2014

Le foto del servizio sono di Musacchio & Ianniello.