Jonas Kaufmann grande Siegmund
al Festival di Grafenegg
Sovente estrapolata dal più ampio contesto del Ring, Die Walküre è certo l'opera più rappresentata del ciclo nibelungico, l'unica ad aver guadagnato una vita autonoma grazie all'enorme apprezzamento del pubblico. In maniera simile il primo atto del dramma viene frequentemente ritagliato dalla struttura complessiva del dramma, per essere eseguito in occasioni concertistiche. È accaduto anche al Festival di Grafenegg, dove schiere di appassionati si sono date appuntamento nel teatro all'aperto per applaudire alcune fra le voci più autorevoli del repertorio wagneriano, una su tutte quella di Jonas Kaufmann. Per questo l'annuncio dato all'ultimo istante dal direttore artistico Rudolf Buchbinder riguardo un infortunio occorso al grande tenore ha creato numerosi timori fra il pubblico, subito dissipati dalla notizia che questi avrebbe cantato comunque, pur costretto a sedersi di tanto in tanto per un fastidio alla gamba. Il primo atto, in quanto affermazione assoluta del sentimento d'amore fra i gemelli velsunghi Siegmund e Sieglinde contro ogni regola sociale, ha sempre esercitato un'attrattiva particolare sul pubblico. La profonda umanità dei due protagonisti trascende le coordinate mitiche per darsi in una maniera immediata e sincera che tocca nel profondo. Proprio questa umanità traspariva evidente dall'esecuzione. Jonas Kaufmann è il Siegmund del nostro tempo. La voce calda e brunita scolpisce un ritratto indimenticabile dell'eroe nobile e ingiustamente perseguitato, destinato al sacrificio. Perché Die Walküre è essenzialmente una tragedia, nella quale i personaggi sono avvolti da un inestricabile groviglio che alla fine li annienterà. Il Siegmund di Kaufmann appare robusto, ma anche capace di inesauribili sottigliezze come nel celebre canto d'amore primaverile (“Winterstürme wichen dem Wonnemond”). Elettrizzanti le due invocazioni “Wälse, Wälse” che precedono il riconoscimento della spada infissa nel frassino, tenute per un tempo lunghissimo con grande soddisfazione dei cultori dell'atletismo vocale. Del pari molto brava Martina Serafin nei panni di una Sieglinde appassionata e colma di slancio, appena un poco rigida negli acuti estremi. Infine Falk Struckmann nei panni di Hunding. Chi scrive lo ricorda formidabile Wotan nel Rheingold, prologo del Ring che Giuseppe Sinopoli portò a Roma da Bayreuth ormai quasi venti anni or sono. La voce è ancora importante, pur mostrando i segni di un'inevitabile usura. Indirizzato in un ruolo che non è propriamente il suo, più da basso puro che da basso-baritono, Struckmann fa valere tutta la propria esperienza di fraseggiatore insigne. Se il registro grave non è proprio imponente, la scansione accurata di ogni sillaba, il vigoroso arrotondamento delle consonanti stagliano un'immagine convincente del marito brutale. Jaap van Zweden dirige la Gstaad Festival Orchestra con brillante partecipazione. Non dovendo calibrare l'esecuzione su un arco drammaturgico integrale, sfoggia una comunicativa sciolta e accattivante. La compagine strumentale segue le oscillazioni sentimentali dei protagonisti con intima commozione e ammirevole adesione emotiva. Travolgente la conclusione del duetto d'amore, colma di impeto e sensualità. Lo scenario all'aperto, con il cielo screziato dal bagliore delle stelle e il disco lattiginoso della luna visibile fra le creste degli alberi come in una tela di Caspar Friedrich, contribuiva al fascino della serata. Prima parte del concerto dedicata ad alcuni brani celeberrimi del repertorio wagneriano come l'ouverture dei Meistersinger, il Preludio e la morte di Isotta e la cavalcata delle Walkirie, eseguiti con smalto timbrico e virtuosismo strumentale. Ovazione da parte del pubblico assiepato non solo sugli spalti, ma anche sul prato circostante.
Riccardo Cenci
31/8/2018
La foto del servizio è di Udo Tutz.
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