Le Nozze di Figaro
al Teatro Sociale di Rovigo
Ben realizzata, nel suo insieme, la messa in scena del dramma giocoso Le Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart al Teatro Sociale nel nuovo allestimento curato da Massimo Pizzi Gasparon Contarini. Le Nozze fanno parte di quel celeberrimo terzetto di opere composte da Mozart tra il 1786 e il 1790 tutte su libretto del veneto Lorenzo Da Ponte, oggi denominata anche trilogia dapontiana. Se l'estro creativo del compositore è superlativo, non meno è la poesia, il libretto è un gioiello di testo teatrale. Tratto da Beaumarchais, racconta la "folle giornata" che si svolge nella ricca abitazione del conte d'Almaviva. La difficoltà sia interpretativa sia registica dell'opera è trovare il perfetto equilibrio tra la parte buffa e quella "seria", considerata tale per gli aspetti più insiti e psicologici. Il doppio fronte ha determinato sovente una scelta di campo, un recente allestimento veneziano non fu apprezzato per la mancanza totale della parte buffa, al contrario di altri spettacoli che non possono dirsi riusciti perché troppo spostati sulla commedia brillante. Memorabili invece restano realizzazioni come quella di Strehler, il quale come pochi ha saputo cogliere appieno il significato di un complesso libretto. Neppure Massimo Gasparon, factotum della produzione poiché regista, costumista, scenografo e ideatore del disegno luci, ha centrato l'obiettivo, optando in maniera decisiva per la farsa buffa. Complessivamente non sarebbe un gran difetto, se avesse avuto a disposizione degli attori di prim'ordine, ma nel nostro caso quasi tutti erano piuttosto compiti in fatto di recitazione. Tuttavia lo spettacolo è godibile e anche funzionale. Pur riutilizzando scenografie di un altro suo spettacolo rodigino, pur attingendo in maniera predominante nei costumi allo stile del suo maestro (Pizzi), anche se ha proposto scene e ambientazioni di altri famosi allestimenti, Gasapron racconta con garbo ed eleganza una giornata febbrile, divertente e comica, senza mai strafare o cadere nel troppo caricaturale ma nemmeno osando un qualcosa di diverso. La scenografia certo non aiuta, i pochi elementi in scena descrivono l'ambiente che dobbiamo più immaginare che vedere, ma quello che è parso più rilevante era la mancanza di una drammaturgia soggettiva e peculiare sugli interpreti Il racconto funziona ma non pone domande e le situazioni sono coerenti ma didascaliche. Anche il gioco di luci era poco incisivo, mentre i costumi brillavano di sognante cromatismo, al contrario della scena tutta bianca, balzavano all'occhio dello spettatore gli orribili cubi stile "Ikea" che avrebbero dovuto rappresentare le sedie nobili dei Conti d'Almaviva.
L'Orchestra Regionale Filarmonia Veneta (che comprendeva anche elementi dell'Associazione Fantasia in Re) non aveva una caratura specifica per affrontare un titolo così rifinito, ma nell'insieme era funzionale. Merito soprattutto del direttore James Meena, il quale ha concertato l'intera opera a memoria, conoscitore attento dei tempi, sempre serrati e sostenuti, un buon equilibrio tra buca e palcoscenico, e non mancando un percorso narrativo d'incalzante teatralità che altrimenti tutto sarebbe sprofondato nella noia. Non particolarmente felice la prova del Coro Lirico Veneto, diretto da Matteo Valbusa, in generale un po' sfasato e carente di volume nel settore maschile.
Il cast nel suo complesso era decoroso ma non particolarmente brioso e stilizzato. Il Figaro di Fabio Previati, s'impone per l'autorevolezza di una voce ancora salda, pastosa e la capacità di eseguire la parte con gran mestiere. Avesse anche avuto una raffinatezza in più nel gioco dei colori, avremmo avuto un ottimo Figaro. Molto più centrato il personaggio di Susanna, Gabriella Costa, la quale ha tutte le caratteristiche che il ruolo necessita: physique du rôle, civetteria, malizia e furbizia. Una Susanna soubrette ma molto graziosa, peccato che il timbro vocale non sia accattivante ma piuttosto aspro, il canto però è ben rifinito e il fraseggio controllato.
Alfonso Mujica, Conte, è un aitante ragazzo con voce importante, ma il tutto si ferma a questo. Il personaggio non è minimamente accennato, del grande di Spagna non ha né lo stile né l'istrioneria, manca anche nei passi più umani, come il duetto "Perché finora", in cui un certo trasporto era necessario. La giovane età è un incoraggiamento a trovare migliori soluzioni. Daria Masiero, Contessa, ha una voce molto bella e pastosa e realizza un personaggio remissivo ma sempre con grande classe, talvolta anche decadente, tuttavia se abbiamo apprezzato nella seconda aria un buon mestiere, a eccezione della stretta finale (molto confusa), all'inizio, pur dimostrando ottima vocalità, non era precisa nell'intonazione, tuttavia il ruolo c'è, è solo da rifinire.
Meno significativo il Cherubino di Leyla Martinucci, teatralmente poco fanciullesco ed eseguito con un canto sommario e talvolta appannato. Molto bravo Filippo Pina Castiglioni nel doppio ruolo di Don Basilio e Don Curzio, intrigante quanto piccato interprete ma senza strafare, e vocalmente luminoso e preciso, al quale sarebbe stato opportuno non tagliare l'aria al IV atto. Bruno Praticò, Don Bartolo, conferma la consueta specializzazione in ruoli buffi, la voce non è più brillante come un tempo e il volume molto ridimensionato ma il gusto e lo stile sono di classe e poi per chi volesse capire come si canta un sillabato facendo capire tutte le parole, basta ascoltarlo.
La Marcellina di Lara Rotili si faceva notare per un gesto teatrale di fattura non mancando il momento vocale, anche lei senza l'aria al IV atto, Annagiulia Bonizzato era una delicata Barbarina, molto musicale e precisa nella deliziosa arietta. Infine l'Antonio di Francesco Toso, un brillante baritono che nel suo breve intervento ha messo in luce uno stile rilevante e una vivace recitazione.
Teatro esaurito in ogni ordine di posto, il cui pubblico ha salutato con applausi convinti gli interventi solistici e riservato al termine una calorosa accoglienza per tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
22/12/2018
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