RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Omaggio a Ezio Bosso

Il 14 maggio del 2020 moriva a Bologna Ezio Bosso, compositore torinese classe 1971 (via Principessa Clotilde, dove trascorse l'infanzia e l'adolescenza, è curiosamente a una traversa soltanto da dove abita chi scrive), stroncato a quarantotto anni dalla recidiva del tumore cerebrale di cui soffriva dal 2011, sommatasi alla MMN, la neuropatia motoria multifocale che lo costrinse, nel 2019, a interrompere l'attività di pianista. La malattia non riuscì però a fermare la sua vitalità compositiva e la sua voglia di credere alla musica come terapia, per citare le sue parole.

Il teatro della sua città, il “teatro” per antonomasia della sua città, il Regio di Torino, lo ricorda nel concerto di lunedì 15 maggio 2023 intitolato proprio “omaggio a Ezio Bosso”, eseguendo la sua Sinfonia nº1 “Oceans” . Scritta nel 2008, la sinfonia si ispira, per ciascuno dei suoi movimenti, ai cinque oceani del pianeta. Tra l'ultimo e il penultimo si intercala un movimento cadenzale, cosicché la sinfonia assume lo schema: I- Cavalcare le onde (Atlantico) – II-Trio “Nostalgija”, canto di un migrante (Artico) – III-Scherzo Oceania (Pacifico) – IV- Adagio - Oceano bianco, oceano vuoto (Antartico) – V-Cadenza – VI- Finale. Quasi presto - Approdo, noi senza veli (Indiano). Significativamente, la dedica del lavoro è ai migranti, «o meglio alla condizione ontologica di migrante insita in ogni uomo, anche nella persona più stanziale» (dal programma di sala). «Migriamo da bambini a giovani, da giovani ad adulti, da adulti ad anziani. Migriamo da amori e lavori. Tutti alla ricerca di un approdo migliore, di una vita migliore, di un suono che ci appartenga» (Ezio Bosso). Una sinfonia composita, dunque, sfaccettata, multiforme, contemporanea e “filmica” nelle sue sonorità, ma che strizza l'occhio alla forma settecentesca della sinfonia concertante, poiché scritta per orchestra con la partecipazione di un violoncello solista, che a volte si oppone, a volte si integra e commenta ciò che l'orchestra propone, senza per questo diventare un concerto per violoncello.

La Filarmonica TRT, dove TRT sta per Teatro Regio Torino, si vanta di aver inciso per prima nel 2012 questo brano, sotto la direzione dell'autore stesso, solista Relja Lukic, all'epoca primo violoncello dell'Orchestra del Teatro Regio e della Filarmonica TRT. Ed è ancora questa valente compagine, nata nel 2003 su iniziativa degli stessi professori d'orchestra del Regio, a proporla, in una versione scorciata a tre movimenti (il primo, il quarto e il sesto) indicata da Bosso in altre occasioni quale possibile riduzione. Al violoncello, questa volta, Amedeo Cicchese. Sul podio, il Direttore Principale Ospite della Filarmonica TRT Felix Mildenberger.

Fin dall'inizio, appare chiaro che tratto distintivo della composizione è la reiterazione di cellule melodiche sempre uguali ma sempre diverse (come le onde, verrebbe da pensare), rigenerate grazie a impercettibili variazioni che diventano riconoscibili col passare del tempo: questo, finché il meccanismo scappa di mano e prende vita un'apoteosi euforica di suono, che culmina in una strabordante scarica di percussioni nude, timpani, tam tam e grancassa. Il primo movimento è anche quello più d'impatto, e che informa col suo materiale tematico anche l'ultimo in omaggio alla forma ciclica, fino alla grandiosa e magniloquente conclusione. Più meditativa la parentesi dell'Adagio, dove si distende morbida la cantabilità del violoncello. Bosso rinuncia agli sperimentalismi sovente aridi e cervellotici di tanta classica contemporanea, aleatoria, atonale e chi più ne ha più ne metta, per parlare con linguaggio comprensibile e diretto, e quindi estremamente comunicativo ed coinvolgente: accanto a sonorità che evocano il Morricone al di fuori dei western, l'apertura ricorda quelle della Terza e della Nona di Bruckner (re minore?), più avanti il trattamento dei tromboni quello della Alpensinfonie di Strauss, ecc.: un linguaggio, come si diceva, tonale, perfettamente comprensibile e radicato nelle orecchie, il tutto con quel guizzo di modernità che vivacizza, incuriosisce, infine cattura, convince, commuove: in una parola, emoziona.

Larga parte e largo merito di queste emozioni ha la Filarmonica TRT, che si attesta su una prestazione di alto valore e di grande chiarezza espressiva. Mildenberger ha da parte sua l'esperienza necessaria per raffrenare e sbrigliare il suono orchestrale commisurandolo con la voce morbida e “umana” del violoncello, che qui, nelle mani di Cicchese, si dipana con eleganza e robustezza, e che alla fine regala un poetico fuori programma come il Capriccio nº1 di Giuseppe Clemente Dall'Abaco (1709-1805).

«La musica tra le altre cose ha un potere meraviglioso: è in grado di far vivere storie senza raccontarle. Me lo ha ricordato Cajkovskij». Sarà per queste parole, sempre di Ezio (mi si permetta questa confidenza con un mio quasi vicino di casa) che la seconda parte del programma contempla la Sinfonia nº6 in si minore Op.74 del compositore russo, la famosa “Patetica”. Un dittico, questo di “Oceans” e “Patetica”, che, se da un lato celebra Bosso col suo esordio nel campo sinfonico, dall'altro lo commemora con una sorta di requiem, col testamento musicale di Cajkovskij: la prima sinfonia di uno, l'ultima dell'altro. Non proprio l'ultima composizione cui lavorò, che fu probabilmente una settima sinfonia rielaborata a concerto per pianoforte e orchestra, peraltro completo solo nel suo primo tempo, ma di certo una delle più spontanee, se non la più spontanea e in questo la più “vera”. Le difficoltà economiche, il tentato suicidio e una psicologia viziata da una sensibilità non comune convergono in questa sinfonia “dal cuore in mano”, ma costruita sapientemente, senza abbandonarsi a istintive improvvisazioni: dapprima il dramma, nel primo movimento, che tra un primo tema angoscioso e un secondo aperto e cantabile, lirico quant'altri mai, procede fino a una disperata confessione degli ottoni su tremolo di archi, per poi trovare un'apparente, momentanea conciliazione in una sorta di sommessa marcia in maggiore, che ricovera in zone sicure dell'anima; poi un valzer leggiadro, dal carattere simile a quello della Quinta, ma tagliato in 5/4; poi un Allegro molto vivace che termina a ritmo di marcia indiavolata, fugando ogni traccia di tristezza. E qui, quasi sempre, scatta l'applauso da parte del pubblico. Potrebbe anche avere senso: il dramma, la stasi, il trionfo (vedi Berlioz Op.15). Il pubblico del Regio non delude sotto questo aspetto e applaude credendo sia finita (cioè, delude ma per altri aspetti). Ma è qui il colpo di genio di Cajkokvskij: un Adagio lamentoso (non a caso scelto da Aldo, Giovanni e Giacomo come colonna sonora del loro solo apparentemente disimpegnato Così è la vita, 1998) che, con ansimi tematici senza sbocco, senza veri e propri sviluppi, spegne la sinfonia nel silenzio, come era iniziata.

Ogni commento che intenda elogiare la prestazione della Filarmonica TRT diretta da Mengelberg suonerebbe riduttivo: l'unica pecca è che, dopo un brano fortemente emozionante come “Oceans”, accostarne un altro ancora più emozionante, anche perché sgorgato da un cuore che si sarebbe fermato nove giorni dopo la sua prima esecuzione, ha provocato un corto circuito emotivo, come due luci egualmente forti che, puntate nello stesso momento, accecano.

Christian Speranza

20/5/2023