Mirandola in appannato specchio…
Il mondo del felice è diverso da quello dell'infelice: forse in inconscio accordo con questo lapidario aforisma di Ludwig Wittgenstein, Mimmo, il protagonista dell'atto unico Alla fine del mondo di Camillo Sanguedolce, andato in scena al Teatro Piscator di Catania il 9 gennaio, ha deciso, dopo una vita ambigua e disordinata, di andare a rintanarsi in un capannone alle pendici dell'Etna, sbarcando il lunario con la sua attività di pittore di pale di carretti siciliani. Solo con se stesso e, forse, con i suoi ricordi, si muove in uno stanzone male illuminato, le cui uniche note di vivacità e colore sono le pale di carretto dipinte con motivi di battaglie tra saraceni e cristiani e con una lunga teoria di pupi.
Vive così, felice certo no, ma securo dell'antico dolor, quando una notte in cui la natura sembra fare da sottofondo musicale alla sua solitaria esistenza, con tuoni lontani ed abbaiare di cani, bussa alla sua porta uno sconosciuto al quale, dopo molte insistenze, si decide ad aprire. Tutto nell'abbigliamento dell'uomo, lungo cappotto nero di pelle, abito nero interrotto solo da una sgargiante cravatta multicolore, è sotto il segno dell'ambiguo: alla mente dello spettatore si affacciano repentine reminiscenze letterarie e drammatiche: uno spettro, il diavolo, il doppio, o infine l'esistenzialistica prospettiva dell'inferno sartriano?
Con mano lieve, Sanguedolce inserisce, elemento dopo elemento, particolari che più che orientare disorientano: l'uomo (apprenderemo poi che si chiama Lorenzo) sa tutto di Mimmo, e Mimmo ha sentito parlare di lui, parla di una Valentina amata da Mimmo, rammenta particolari della loro relazione, ne parla ora al passato ora al presente, mentre il senso di ambiguità si ipertrofizza, in un climax di suspense puramente mentale. Pian piano comincia a farsi strada una mezza verità: Lorenzo è (o forse era) il gemello di Valentina, mai conosciuto in carne ed ossa da Mimmo e dato già all'epoca della relazione come morto. E qui magari lo spettatore sembra orientarsi, privilegiando tra le tante ipotesi iniziali magari quella del fantasma…
Ipotesi che comincia lentamente a concretizzarsi in soluzione, quando all'improvviso cala, con la velocità di una mannaia, la reale verità, forse ancora più spaesante, straniante di tutte le ipotesi: Lorenzo altro non è che la stessa Valentina, tramutatasi finalmente in uomo dopo una esistenza passata a non accettarsi come donna, ad inventarsi un doppio maschile, a tentare di essere uomo, esistenza nel corso della quale ha persino sposato il povero Mimmo, che per seguirla ed averla si è tuffato a capofitto nel vortice della droga, è finito in galera per omicidio e adesso vive come un eremita, e il cui unico patrimonio mentale è solo il ricordo del loro amore.
A tale rivelazione il poveretto crolla: ammette sì di avere avuto qualche lievissimo sospetto, ma mai nulla di concreto, più che altro dubbi sulla reale morte del gemello. Basterebbe questo per fare di Alla fine del mondo un lavoro nuovissimo e originale, che indaga, forse per la prima volta, non tanto le implicazioni mentali ed esistenziali del transgender a parte di colui o colei che vive sulla propria carne tale disturbo della personalità, ma a parte dell'altro, dell'uomo o della donna che hanno la sventura di imbastire una relazione con persone di questo tipo prima della loro definitiva trasformazione. Sanguedolce va oltre, offrendo nel finale ancora una volta un capovolgimento, un gioco di specchi crudele, che aumenta l'efficacia del lavoro e lo rende netto e tagliente, immune da moralismi pur nella sua totale umanità: Mimmo chiede ancora una volta di essere lasciato in pace, e congeda Valentina/Lorenzo, pregandolo di togliersi definitivamente dai piedi, rispettando il precario equilibrio della sua esistenza, ma il visitatore svela il reale motivo della sua presenza, motivo assolutamente pragmatico ed utilitaristico: vuole che Mimmo firmi le carte per il divorzio, prima che la sua nuova identità maschile sia registrata.
E qui, un nuovo sospetto agita la mente dello spettatore: non è che Lorenzo ha sottomano una sposina? Sincerità per sincerità, Mimmo ammette di essere stato anche lui capace di fingere: è infatti quasi cieco, e gli rimane poco da vivere, e la rivoltella che Lorenzo ha trovato sotto un cuscino serve appunto a difendersi dai malintenzionati, perché vede solo ombre. Infine, dopo un saluto ed un abbraccio, Lorenzo va via, ma uscendo scoppia in una risata, l'estrema beffa forse, al povero Mimmo, adesso derubato della sua vita e dei suoi ricordi, e che, stesosi sul divano, si spara.
Come si vede, una pièce incalzante, scritta in un italiano colloquiale, qua e là venato di espressioni gergali atte solo a renderlo più incisivo, che è riuscito ad affrontare un tema così delicato ed attuale rifuggendo da un lato dai facili sentimentalismi, dall'altro dalla grassa comicità a cui nessun siciliano sa sottrarsi quando si tratta di omosessuali, transessuali et similia. Qui invece l'aspetto metafisico della vicenda si concreta continuamente nel pragmatico, nell'esistenziale, per poi tornare a slargarsi nel metafisico, ponendo il problema dell'identità sessuale sia dal punto di vista del soggetto, sia di colui che comunque ne subisce o ne ha subito le conseguenze.
Un ruolo molto difficile da un punto di vista attoriale quello di Lorenzo: giocato sull'ambiguità, con l'occhio sempre attento alle reali intenzioni del personaggio che devono svelarsi solo alla fine, e forse solo nella risata liberatoria dell'epilogo, richiede lentezza, controllo della mimica e soprattutto una recitazione algida e assolutamente composta, in grado di amplificare tutti i sospetti dello spettatore. Questo compito Camillo Sanguedolce ha svolto con grande professionalità, porgendo il personaggio in tutte le sue sfaccettature, che venivano fuori per gradi col procedere dell'azione.
Filippo Brazzaventre, nel ruolo di Mimmo, è riuscito ad esprimerne con grande partecipazione la dolente umanità, senza mai calcare la mano, mantenendo la recitazione su un registro medio, senza impennate sentimentali o colleriche, anche nei momenti più concitati ed espressi in dialetto. Anzi, ha saputo infondere a Mimmo un tono quasi sognante, nostalgico, dove anche il dolore si addolciva nella lontana dimensione del ricordo, e dinanzi alla rivelazione della nuova identità sessuale di Valentina/Lorenzo, ha dato alla voce quasi un tono incespicante, rattenuto, nelle cui pause ha saputo far vibrare, col gesto e con la mimica, tutta la terribile delusione del personaggio.
Ottimo il disegno luci di Elvio Amaniera, gelido e tagliente, che insieme agli effetti sonori di Fabio Grasso ha contribuito alla riuscita di uno spettacolo al quale il pubblico ha tributato un notevole consenso.
Giuliana Cutore
10/1/2016
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