Barcellona
Un flauto per la pace
Il Liceu chiudeva la stagione con lo stesso titolo che aprirà la nuova il prossimo mese di settembre: Il Flauto Magico di Mozart in un allestimento della Komische Oper di Berlino e con parecchi tra i cantanti della stessa compagnia e anche due o tre maestri. In tutto ci sono due cast (con qualche personaggio anche con una terza possibilità), ora come a settembre, ma questa recensione si fa solo sulla prima delle recite, dedicate alle vittime degli episodi violenti nel mondo e particolarmente a quello di Nizza e correttamente proponendo la musica come base della pace tra i popoli. Siccome la data scelta era quella del 18 Luglio, quando ottant'anni fa aveva inizio la guerra civile spagnola, non sarebbe stata una cattiva idea aggiungere anche un pensiero o un ricordo per questo tragico evento ma si vede che la memoria storica resta tuttora un elemento sensibile, o insensibile che si voglia, nella Spagna, e ancora più strano trattandosi di Barcellona.
La nuova produzione (per il Liceu) per la regìa di Barrie Kosky e Suzanne Andrade con la straordinaria collaborazione di Paul Barrit per quanto riguarda gli aspetti di video e i ‘cartoni animati', dato che l'idea è quella di presentarci un film muto, cioè la musica senza dialoghi, sostituiti, come all'epoca del muto, con dei titoli – quasi tutti ripresi dal testo originale – accompagnati al fortepiano da fantasie dello stesso autore. La fantasia, creatività, agilità sono davvero stupefacenti, mai visto un Flauto così rapido in tutta la mia esperienza – quello di Bergman è senz'altro superiore ma più 'tranquillo'. Gli artisti sono preparatissimi: un po' un peccato che – secondo le parole del regista – restino bidimensionale perché confinati ai difficili movimenti e al canto senza mai parlare: Papageno un Buster Keaton, Pamina Louise Brooks, Monostatos Nosferatu, Sarastro il dottor Caligari, la regina una donna ragno. Peccato anche che così spariscano i due sacerdoti che accompagnano i neofiti nelle diverse prove e venga ridotta al solo duetto Papagena.
La parte musicale era meno brillante di quella scenica, mai però men che corretta. L'orchestra del Teatro piuttosto bene (ma gli archi mancano di colore) e poche sfumature venivano della bacchetta, esperta senz'altro, di Henrik Násási; bene il coro, forse meglio nella scene più intime che in quelle sfavillanti alla fine dei due atti, istruito come al solito da Conxita García.
Tra i solisti spiccava decisamente il basso Dimitry Ivashchenko, un Sarastro/Sprecher, in quest'ultimo ruolo mai visto ma amplificato. Olga Pudova ripeteva la sua ormai nota Astrifiammante, tanto brava quanto poco personale. Allan Clayton era un buon Tamino, ma come sembra ormai l'abitudine il suo canto era piuttosto uniforme e orientato verso il forte… Forse un po' più interessante proprio per questo, benchè la voce sia più leggera di quanto richiede la parte, la Pamina di Maureen McKay.
Bravissimo come interprete e corretto cantante (un po' nasaleggiante) Dominik Köninger alle prese con Papageno e molto disinvolta e accettabile come canto la Papagena di Julia Giebel. Una lode particolare va alle tre dame, davvero magnifiche (Nina Bernsteiner, Karolina Gumos ed Ezgi Kutlu), discreti gli uomini armati (Timothy Richardson e Bogdan Talos – meglio quest'ultimo) e con una voce poco gradevole ma un'interpretazione stupenda il Monostatos di Peter Renz. Il pubblico quasi non applaudiva in tutta la serata (non c'era davvero possibilità visto il ritmo incalzante della recita), ma dimostrava il suo gradimento alla fine dell'atto primo e soprattutto nelle lunghe ovazioni a spettacolo concluso.
Jorge Binaghi
21/7/2016
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