Il magico Wolfgang
A Giulia e Sara
Per gli amanti della musica, gennaio è il mese di Mozart per definizione (anche se luttuosamente verdiano): pensiero gentile, quindi, da parte del Teatro Regio di Torino, allestire l'ultimo capolavoro teatrale in tedesco del genio di Salisburgo, Die Zauberflöte, come regalo di compleanno: grazie al cast della prima compagnia e alla regia di Roberto Andò, la recita di mercoledì 15 gennaio 2014 è stata un successo totale.
La direzione, affidata al viennese Christian Arming (che il pubblico torinese da tempo conosce grazie alle collaborazioni con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI), è costantemente equilibrata, segue le voci accarezzandole, senza (quasi) mai prevaricarle (assennata la scelta di limitare – dato l'organico dei fiati “a due” – gli archi ad un numero modesto, al fine di contenere il volume sonoro, con soli tre contrabbassi e gli altri di conseguenza), adattandosi ai diversi stili che un'opera così composita e stratificata squaderna pagina dopo pagina. Talvolta, però, questa tendenza alla discrezione viene esagerata, e nei momenti in cui l'orchestra dovrebbe brillare di più – come nell' Ouverture, o nei rari ma fondamentali interventi dei tromboni – non si percepisce lo smalto e la pienezza che si vorrebbero apprezzare.
Le voci sono omogeneamente ben distribuite per i ruoli. Giorgio Berrugi, alias Tamino, è tenore di timbro tipicamente settecentesco, con pose aggraziate (che a volte sconfinano nel falsetto) e accenti di sentito patetismo là dove richiesto, ma disturba una certa legnosità negli acuti; procede meglio a voce calda, dopo un paio di numeri. Papageno, cui presta voce e sembianze Markus Werba, è un concentrato di vis comica ed istrionismo, in linea con la tradizione popolare del Singspiel: dopo una prima aria forse a tratti scolastica, ha saputo sostenere la rappresentazione con disinvoltura, sempre all'altezza della situazione anche in forza di doti attoriali non indifferenti (e decisive in uno spettacolo di “prosa cantata” come questo). Maria Grazia Schiavo, in veste di Pamina, è forse l'interprete più convincente: con voce piena, rotonda, ben impostata, mai gridata e capace di reggere anche nel registro grave, ha saputo dispiegare le diverse emotività del suo personaggio in maniera più che verosimile, giungendo, nell'aria Ach ich fühl's, a toccare vertici espressivi insospettati, in grado di lumeggiare quella sensibilità mozartiana già proiettata verso il Romanticismo. Aleksandr Vinogradov, basso già noto ai frequentatori del Regio per il ruolo del Principe Gremin nell'Onegin della stagione 2012/2013, torna nello Zauberflöte come Sarastro. Le note più gravi, sovente sprofondate ai limiti della vocalità umana, sono prese con sicurezza e tenute saldamente. Vi è un declamato quasi parlante nella scansione delle sillabe, cosa che contribuisce al carattere ieratico del personaggio. Tuttavia, il timbro resta chiaro, e la mancanza di spessore, di una certa corposità della voce, lo rendono un basso profondo solo dal punto di vista dell'estensione, poco credibile ad interpretare personaggi dall'aura solenne come Gurnemanz o Titurel, ruoli tematicamente affini (con le ovvie e dovute differenze!) al Sarastro mozartiano. Nonostante ciò, l'interpretazione di Vinogradov conquista, soprattutto nell'aria O Isis und Osiris. Più difficile il giudizio sulla Regina della Notte, Olga Pudova, costretta a giocarsi il tutto per tutto in due sole arie (per giunta impervie). Ma nella performance di questa sera ha vinto la sfida: ad un inizio un poco stentato di Zum leiden bin ich auserkoren al primo atto (per aiutarla nei gorgheggi abbiamo avvertito un leggero rallentamento del metronomo), ha fatto seguito una validissima (anche se non così furoreggiante) esecuzione di Der hölle Rache al secondo, applaudita da tutto il teatro. I picchettati sono stati eseguiti con perizia (suscitando quell'effetto di stupore tipico di quando si constata di che cosa sia capace la gola umana), come pure i passaggi legati , mai forzati o stucchevoli.
Andò riprende l'allestimento da lui approntato per il Massimo di Palermo nel 2001 e, come spiega nell'intervista rilasciata a Sistema Musica di gennaio, esalta gli aspetti fiabeschi a dispetto di quelli massonici (e il suo adattamento per bambini ci è sembrato molto più sensato di quello del Die fliegende Holländer dell'anno scorso). La scelta è senz'altro condivisibile: a parte gli immancabili motivi triadici (porte, statue, finestre, colonne…), la linea di condotta generale si mantiene sulla semplicità: pochi elementi in scena e luci sapientemente dosate sanno sospendere nel tempo e nello spazio la storia, al punto che poco importa dell'ambientazione egizia: per un'opera surreale (e a suo modo volutamente irreale) come questa, occorre una regia surreale, a tratti anche spoglia, che non si esibisca con protagonismo, ma che sappia immergere lo spettatore in quella “reale finzione” tipica di Wagner (pensiamo all'ascetismo del Parsifal o all'astrazione del Tristan). Ora, se paragoniamo questa regia a quella di altri allestimenti, riprodotti nella monografia pubblicata dal Teatro Regio, non si può non notare la grande sobrietà di Andò, che rinuncia a pacchianerie decisamente fuori luogo e opta per due pannelli mobili (a forma di parentesi tonda aperta e chiusa) e alcuni elementi egizi (colonne con la testa di Horus, statue di mufloni accovacciati come sfingi, una piramide dorata), in definitiva restituendo l'alone fiabesco meglio di altre soluzioni fin troppo colorate. I costumi si mantengono nel solco della tradizione, Papageno, senza piume ma con uccelliera di vimini a mo' di zaino (secondo quanto già lo stesso Schikaneder aveva ideato) e i Fanciulli fluttuanti nella navicella. Meno coerenti il serpente a inizio opera (di gusto naïf , forse ispirato a maschere orientali) che viene decapitato, rendendo inspiegabile il fatto che Papageno dica di averlo strangolato, e le fulvicrinite Damigelle vagamente gothic fashion. L'uovo sospeso sulla testa di Sarastro sembra un riferimento alla Sacra Conversazione di Piero Della Francesca, cosa che non ci è dispiaciuta per la simbologia cui allude, un'idea di perfezione e di tersa, ultraterrena serenità.
La scelta registica di far entrare e uscire i personaggi dalla platea è datata ma pur sempre efficace (al Regio ricordiamo l'entrata di Pizarro nel Fidelio della stagione 2011/2012), purché non se ne abusi come invece accade qui: può diventare stancante, prevedibile, e comunicare mancanza di fantasia. La recita è stata ravvivata da alcuni spiritosi siparietti di Papageno, che scherza col pubblico, si fa consolare abbracciato da Arming (che si sporge dalla buca dell'orchestra) o si annuncia come l'eroe di Fleming (Geno: Papa-geno, puro stile 007): divertenti, purché anche in questo caso non si ecceda (il balletto eseguito mentre Papageno suona i campanelli ci è sembrato eccessivo).
Complessivamente, uno Zauberflöte come questo fa venir voglia di andare più spesso a teatro, e ci ricorda che la vita andrebbe sempre presa con un po' di magia: basta crederci.
Christian Speranza
17/1/2014
Le foto del servizio sono di Ramella&Giannese©Teatro Regio Torino.
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