Tosca
Puccini e la memoria 
Le reminiscenze, intese in senso proustiano, appaiono tanto più autentiche quanto sono legate a sensazioni incontrate in modo casuale, a eventi che si manifestano per qualche misteriosa alchimia temporale. Questa è la percezione emotiva che abbiamo provato vedendo la Tosca al Teatro dell'Opera di Roma il 4 marzo, nell'ormai tradizionale allestimento di Adolf Hohenstein, opportunamente restaurato da Carlo Savi, che diede i natali al titolo nel Millenovecento. Un andare indietro nel tempo, ritrovando cose che credevamo perdute e che invece si mostrano con straordinaria evidenza. In Proust, inoltre, il corso del tempo è sempre intrecciato con lo spazio, e non vi è opera pucciniana più precisa di Tosca nella collocazione topografica romana. Detto ciò la messa in scena, per l'occasione registicamente curata da Alessandro Talevi, è ormai un appuntamento obbligato dell'istituzione lirica della Capitale che nella presente stagione viene declinato in tre diverse occasioni e con cast distinti, per celebrare i centoventicinque anni dalla prima esecuzione del titolo. Se, riprendendo il dettato proustiano, l'amore è sempre patologico, Anna Netrebko delinea una protagonista emotivamente instabile, governata dall'oscillare di mutevoli passioni, preda di eccessi di gelosia ma anche in grado di rischiare tutto pur di salvare il proprio amore. La voce è calda e pastosa, il timbro molto bello, il fraseggio accurato e sostenuto da fiati lunghissimi, la tecnica sopraffina sempre al servizio del risultato espressivo. Nel registro grave tende un poco a gonfiare i suoni, ma è un dettaglio trascurabile in un'interpretazione magistrale. Le sta accanto il Cavaradossi molto più prosaico di Yusif Eyvazov, un tempo suo compagno anche nella vita, con il quale sussiste una notevole intesa attoriale. Il tenore azero ha presenza scenica ma timbro non molto accattivante, fraseggio piuttosto approssimativo e povero di sfumature, acuti a volte forzati. Cresce nel terzo atto, dove esegue “E lucevan le stelle” con apprezzabile varietà espressiva e afflato emotivo, facendosi valere anche nel successivo duetto. Amartuvshin Enkbat è uno Scarpia di terrifica statura, mai sopra le righe, tutto giocato sui valori del canto. Ottimo l'Angelotti di Gabriele Sagona, discreto il sagrestano di Domenico Colaianni, efficace lo Spoletta di Saverio Fiore. Daniel Oren offre una direzione sanguigna, con scelte agogiche e dinamiche mai scontate. Sala piena e autentiche ovazioni per tutti, in particolare per la Netrebko. Volendo tornare al discorso proustiano sulla memoria e sulle enigmatiche corrispondenze, chi scrive vide la sua prima Tosca al Costanzi nel lontano Millenovecentoottanta. Le scene erano quelle di Hohenstein; dirigeva Daniel Oren. Riccardo Cenci
7/3/2025
La foto del servizio è di Fabrizio Sansoni.
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