RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Un Fra Diavolo più italiano che francese

torna al Costanzi dopo oltre 130 anni

“Piccolo musico, ma grande musicista”, diceva Gioachino Rossini di Daniel Auber, colorando di spirito un'espressione di sincero apprezzamento, forse derivata anche dal fatto che il compositore francese accolse con genuina ammirazione il pesarese al suo arrivo in terra transalpina, mentre diffusa era l'ostilità di illustri colleghi. Evidentemente l'invidia non rientrava nei difetti del pur eccentrico Auber. Affetto da una vera idiosincrasia verso il proprio lavoro, tanto da non aver mai diretto una sua opera e da non aver mai presenziato a una prima, solito comporre la musica prima di conoscere le parole, che a questa dovevano adattarsi, dedito al lavoro notturno come nella più consumata tradizione romantica, almeno secondo le testimonianze dei contemporanei, il musicista godette di una fama enorme quando era in vita. Tanto osannato allora quanto negletto oggi, verrebbe da dire. Le sue opere scomparvero dal repertorio pressappoco in concomitanza con il deflagrare del primo conflitto mondiale. Forse il suo teatro leggero e colmo di spirito venne ritenuto non adatto a tempi tanto tragici. Eppure l'ispirazione di Auber non resta circoscritta all'ambito dell'opéra-comique, ma contribuisce alla creazione del grand-opéra, di cui La muta di Portici è un esempio probante. Un compositore che attende ancora una vera e propria riscoperta, sull'esempio della Rossini renaissance per intenderci, le cui creazioni iniziano comunque ad avere una più ampia circolazione. È il caso di Fra Diavolo, opera forte di alcune arie impresse per sempre nell'immaginario popolare, rimasta celebre anche in virtù della versione parodistica del 1933, consegnata all'immortalità filmica da Stan Laurel e Oliver Hardy. Merito del Teatro dell'Opera della capitale aver riproposto questo titolo, assente dal Costanzi dal lontanissimo 1884. Lo spettacolo confezionato da Giorgio Barberio Corsetti, occorre dirlo subito, è spassosissimo e teatralmente convincente. La trasposizione epocale, dal Settecento imbellettato alle atmosfere da commedia all'italiana collocabili fra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, non nuoce al ritmo teatrale, che si mantiene serrato e accattivante. Neppure si perdono i sapori e i gesti tipicamente mediterranei di una vicenda ambientata nei pressi di Terracina, terra reale ma anche mitica, percorsa da stuoli di briganti fra i quali spicca Fra Diavolo, prototipo dell'eroe romantico, affascinante e carismatico. Le videoproiezioni contribuiscono a rendere l'allestimento movimentato e vivace. All'inizio vediamo i due turisti Lord Rocburg e Lady Pamela, ignare vittime dei banditi, percorrere una strada alberata a tutta velocità, mentre enormi mani li privano dei loro averi. Un'immagine che richiama l'universo filmico del Sorpasso di Risi, e che ripropone in maniera spassosa lo stereotipo di un Sud Italia oltremodo pericoloso per il turista incauto. Domina l'azione la piazza del paese, vero fulcro vitale nei piccoli borghi dell'Italia rurale, animata dalla presenza chiassosa e ingombrante del popolo e dallo stuolo dei carabinieri, impegnati in una caccia senza tregua per arginare il brigantaggio. Anche in questo caso la mente corre a certe ambientazioni da commedia leggera, al talento istrionico di un Vittorio De Sica a esempio, sempre pronto a sfoggiare la propria presunta mascolina italianità di fronte alla bella di turno, che sia la Lollobrigida o la Loren. Uno spettacolo semplice eppure complesso, in grado di evocare i contrasti post-unitari quanto il desiderio di spensieratezza successivo al secondo conflitto mondiale e gli entusiasmi del boom economico.

Nel secondo atto lo sguardo dello spettatore, che si era fermato alla facciata della locanda che ospita l'azione, viene condotto all'interno, tutto realizzato con una stampante 3D. Qui la commedia si addentra in meandri notturni di romantica memoria, con i briganti pronti a mettere in atto i propri piani criminali e la servetta ad ammirarsi nello specchio, ignara della minaccia che la sovrasta. Una scena dal gusto voyeristico, accentuato da una luna enorme con due occhi che alludono alla presenza dell'ignoto, venata da un erotismo sottile. All'inizio del terzo atto Fra Diavolo svela la propria natura di bandito gentiluomo, dedito a derubare i ricchi e capace di provare pietà per i poveri. La regia ce lo mostra tronfio, mentre dai palazzoni periferici che gli scorrono ai lati, simulando il movimento di una passeggiata trionfale, la gente entusiasta lo acclama. Proprio questa è la caratteristica principale dello spettacolo, un dinamismo continuo che ben si adatta al continuo avvicendarsi di colpi di scena. Lo scioglimento finale avviene per l'imperizia di due banditi compagni di Fra Diavolo, i quali svelano non volendo la sua identità. Il librettista Scribe, che prima ne aveva decretato unicamente l'arresto, in una successiva declinazione del libretto lo mostra morente, ucciso dai gendarmi che lo avevano catturato. Per le rappresentazioni romane si è scelta la versione con i recitativi cantati, predisposta da Scribe e Auber in alternativa a quella con i brani recitati, secondo la tradizione dell'opéra-comique.

Il cast è dominato dal talento vocale e istrionico di John Osborne, un Fra Diavolo carismatico e sempre ben cantato. Brava anche Anna Maria Sarra, perfettamente in grado di rendere il carattere tanto frizzante quanto sentimentale della servetta Zerlina. Pur mostrando una certa usura vocale, Sonia Ganassi si fa valere dal punto di vista interpretativo nel ruolo di Lady Pamela. Molto debole invece il Lord Rocburg di Roberto De Candia, dall'emissione faticosa e pesante. Giorgio Misseri ha voce un poco esile, ma aggraziata e musicale, il che gli permette di rendere al meglio i languori amorosi di Lorenzo. Apprezzabile infine il Matteo di Alessio Verna. Il direttore Rory Macdonald inizia in sordina, poi cresce riuscendo a imprimere un ritmo adeguato alla narrazione. Peccato solo per l'esigua presenza di pubblico. Il ritorno di un titolo tanto gradevole dopo oltre centotrenta anni avrebbe meritato un'accoglienza più calorosa. Evidentemente la curiosità non rientra nelle virtù del pubblico operistico romano.

Riccardo Cenci

17/10/2017

La foto del servizio è di Yasuko Kageyama.