RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Suggestioni d'Oriente del secondo Ottocento

Prototipo delle suggestioni che nell'Ottocento coinvolgono anche luoghi e culture lontani è Shéhérazade, la Suite sinfonica Op.35 che Nikolaj Rimskij-Korsakov scrive nel 1888 ispirandosi alle Mille e una notte. La ponderosa raccolta di novelle anonime, compendio pluristratificato della letteratura araba che ha come filo conduttore la schiava Shehrazade che, notte dopo notte, sciorina al malvagio sultano Shahriyàr una storia dietro l'altra per impedire che questi la mandi a morte, trova la sua voce musicale in Rimskij-Korsakov, che, da maestro dell'orchestrazione qual è, riveste di vividi colori strumentali la vicenda, articolandola in quattro quadri che, tutti assieme, possono essere visti come una “sinfonia con violino obbligato”. Shehrazade è infatti impersonata dal primo violino solista, che “racconta”, facendo capolino qua e là, quattro episodi della sterminata raccolta a Shahriyàr, che ha pure un suo tema: un minaccioso, assertivo inciso melodico che apre la composizione e che tornerà alla fine. Premesso ciò, il resto è tutto un ricreare atmosfere e personaggi, con una fedeltà, certo, quanto meno discutibile rispetto alla fonte letteraria, ma con un materiale tematico sufficiente a impalcare quella che ancor oggi è, assieme al Volo del calabrone, la composizione più nota di Rimskij-Korsakov.

All'auditorium Arturo Toscanini di Torino, l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI (OSN) presenta questo gioiello sinfonico assieme alla Chasse fantastique di Ernest Guiraud (1887) e al Concerto per violoncello e orchestra in re minore di Édouard Lalo (1876) nel dodicesimo appuntamento della stagione, giovedì 14 marzo 2019. Direttore Constantinos Carydis, solista Sol Gabetta.

Praticamente sconosciuto al giorno d'oggi, Ernest Guiraud (1837-1892) viene qui rappresentato con un breve ma efficacissimo poema sinfonico che si ispira alla Légende du beau Pécopin et de la belle Bauldour di Victor Hugo. Musica quanto mai “visiva”, esaltante e incalzante, che ricrea un sottobosco in cui risuonano richiami di corni da caccia e una cavalcata selvaggia attraverso la fitta ramaglia (non a caso il ritmo è lo stesso di un'altra famosa cavalcata, quella “delle Valchirie”, scritta quasi vent'anni prima ma rappresentata nel 1870: croma puntata, semicroma e croma, in ritmo, qua di 6/8, là di 9/8: ma all'orecchio poco cambia). Anche qui, la caccia, la corsa sfrenata per il bosco, sono suggestioni che nel Romanticismo trovano diverse incarnazioni musicali: lo Studio trascendentale n°8 in do minore di Franz Liszt, tanto per citarne una, detto appunto Caccia selvaggia (in 6/8…).

Più famoso il Concerto di Lalo (autore che, curiosità, condivide con Mozart lo stesso giorno di nascita), godibilissima composizione non priva di episodi eroici come di lirici abbandoni, giustamente entrata in repertorio, per la sua innegabile fascinazione melodica, forse un po' esteriore, assieme alla Symphonie espagnole (1874), in pratica un concerto per violino in cinque movimenti scritto per Pablo de Sarasate, il Paganini spagnolo. Di certo, Lalo dà il meglio di sé nei due strumenti studiati in età giovanile, appunto violino e violoncello; e non c'è da stupirsi se, vantando antenati spagnoli, i suoi highlights siano qua e là venati di una certa “tinta” iberica, nel Concerto per violoncello evidente soprattutto nel secondo movimento.

A interpretarlo, si diceva, è Sol Gabetta, violoncellista argentina dal palmarès invidiabile, e non a torto. La sua lettura del Concerto di Lalo è intensa, vibrante; la melodia, sotto le sue dita, si distende, chiara e netta, in arcate che coprono sinuosamente diverse ottave, ben rilevata sull'orchestra, la quale, grazie alla direzione di Carydis, riesce a non coprire il suono caldo ma pur sempre non così udibile del violoncello. Così raffrenata, ma pur sempre attentissima a seguire le pieghe del discorso musicale, l'OSN si pone quale ottimo fondale alle evoluzioni del solista, sostenendolo senza soffocarlo. Il primo movimento offre un ampio ventaglio delle possibilità melodiche dello strumento, rifuggendo quasi completamente dal virtuosismo fine a se stesso. Gabetta, a suo agio in ogni passaggio, quasi rilassata, a giudicare dai rassicuranti sguardi d'intesa con Carydis, esalta proprio il lato cantabile della melodia, declamandola, più che suonandola. Più interessante l'Intermezzo che segue, per il suo contrasto tra l'iniziale Andantino, in sol minore, nel quale il violoncello sembra quasi imitare il flauto armeno, o duduk, e lo scanzonato Allegro presto che tien dietro, un concentrato di orecchiabilissima, sapida melodia popolare spagnola, dove il violoncello entra in dialogo col flauto. Brano quindi da suonare quasi con due anime, cosa che a Gabetta riesce senza sforzo. Di nuovo un lamentoso preludio a inizio del terzo movimento, e via lungo uno spumeggiante finale che trascina il pubblico in un applauso senza fine.

Graditissimo il fuori programma che Gabetta riserva a fine concerto: accompagnata dai primi tre violoncelli dell'OSN (Pierpaolo Toso, Ermanno Franco, Stefano Blanc), eccola eseguire El cant dels ocells (Il canto degli uccelli), canto natalizio tradizionale catalano reso popolare proprio nella sua versione per violoncello da Pablo “Pau” Casals e grazie a lui diventato una sorta di inno del patriottismo catalano durante la guerra civile spagnola e durante il regime di Franco (non che evochi proprio l'allegria del clima natalizio...).

Via libera, dopo l'intervallo, alla piena orchestra con Shéhérazade, nel quale l'OSN ha modo, ancora una volta, di rivelare il suo talento, tanto nel suo insieme, quanto nei singoli componenti. La partitura di Rimskij-Korsakov è ricca di passaggi solisti, a cominciare dal primo violino, qui Alessandro Milani, chiamato a interpretare la voce suadente di Shehrazade. Degni di nota, soprattutto per i loro interventi nel Racconto del principe Kalender, il primo fagotto Andrea Corsi, il primo trombone Joseph Burnam, la prima tromba Roberto Rossi, il primo clarinetto Enrico Maria Baroni, il primo flauto Marco Jorino e il primo corno Francesco Mattioli, tutti impeccabili.

Carydin fornisce un'interpretazione senza sorprese, adatta ad un ascolto didattico di chi voglia avvicinarsi a questo riuscito affresco sonoro (e pittorico, se si ha abbastanza immaginazione). Non calca eccessivamente la mano là dove sarebbe comodo suscitare un facile entusiasmo, là dove il magistero compositivo di Rimskij-Korsakov si fa più pletorico, non concedendo alle note più quanto le note stesse chiedano, e resta sul sentiero di una lettura più moderata, più composta, forse meno travolgente, meno esaltata di quanto, in prima battuta, si era supposto all'ascolto della Chasse fantastique, con cui s'era aperto il concerto; una lettura, per questo, forse più elegante, di quell'eleganza che non si nota e si confonde con la sobrietà.

Christian Speranza

1/4/2019

Le foto del servizio sono dell'Istituto Più Luce.