RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Margarita e il gallo

Che il mestiere dell'editore sia solo in parte un'attività culturale è cosa nota; l'industria della carta stampata ha poco o nulla da invidiare ad altre attività squisitamente commerciali, e volte dunque al puro e semplice guadagno. E un'ipocrisia pura e semplice considerare l'editore un essere votato alle Muse, costretto a sporcarsi suo malgrado col vile denaro. Ma quello che potrebbe sembrare un'ovvietà in un talk-show o in un romanzo giallo ambientato in epoca moderna, acquista un particolare sapore se immerso in un'atmosfera rinascimentale, quando l'editore si chiamava stampatore, e se viene condito con tutti gli intrighi che hanno reso celebre quest'epoca, regno di belle dame, di cavalieri seduttori, di mariti felici di essere cornuti, quando le corna portano denaro, di fratacchioni compiacenti e di affascinanti giovani streghe.

In Margarita e il gallo, commedia di Edoardo Erba, riproposta al Musco di Catania dalla Compagnia delle Isole dopo il successo ottenuto anni or sono al Brancati, sempre per la regia di Angelo Tosto, questi ingredienti ci sono tutti, in un mix tra comico e grottesco che, se scatena le risate del pubblico, può anche dare la stura ad attente ed amare riflessioni.

Volta ad enfatizzare l'aspetto umoristico e da commedia degli equivoci del plot, la regia ha trascurato, forse per esigenze di compagnia, l'elemento amaro e corrosivo che prevaleva nella precedente edizione, optando per luci più tradizionali, per gestualità più sciolte e colloquiali, e ponendo maggiormente l'accento sulle battute d'effetto, sugli smaccati ammiccamenti sessuali, sulla reiterazione comica, cosa che gli ha senz'altro accattivato le simpatie del pubblico.

Camillo Mascolino, nei panni di padre Saverio, frate con aspirazioni letterarie, ha sfoggiato una mimica magistrale, riuscendo a rendere palpabile tutta l'ipocrisia e l'untuosità del frate rinascimentale, pronto a giustificare ogni peccato pur di strappare un pasto, un boccale di vino, o di vedere stampate le proprie orrende liriche.

Ottima anche l'interpretazione di Giuseppe Bisicchia, il dissoluto visconte Morello: ha interagito con gli altri attori con disinvolta e rutilante allegria, prestandosi al nuovo taglio esclusivamente comico senza mai scadere nel facile caricato.

Algida ma bene in ruolo Alessandra Costanzo, la religiosa contessa Bianca: la sua buona mimica ha reso più fluidi i duetti con Valentina Ferrante, Margarita, la fantesca-streghetta deus ex machina del sortilegio che condurrà allo scambio di corpi tra lei e il padrone, il conte Annibale, stampatore squattrinato. Tuttavia, la dizione non sempre perfetta, la gestualità non sempre misurata, il frequente dimenticare di trovarsi immersa in un'atmosfera rinascimentale, e soprattutto il troppo compiacersi della pronuncia dialettale nella parti in vernacolo affidatele, hanno ulteriormente appiattito la sua recitazione sul registro comico, togliendole di fatto la possibilità di rendere palpabile, anche sul piano fonico e gestuale, lo sdoppiamento sul fronte maschile che, se ben impostato, avrebbe reso particolarmente pregnante il secondo atto, tutto giocato su tale ambiguità (che sarebbe dovuta sempre rimanere tale) e compresenza di maschile-femminile.

Filippo Brazzaventre, nei panni del conte Annibale, ha interpretato con sicuro equilibrio, soprattutto gestuale, il suo ruolo, risultando particolarmente efficace nei duetti con la Costanzo e con l'irresistibile Mascolino. Ha saputo anche, con notevole professionalità unita ad una mimica equilibrata, mai macchiettistica, e a una dizione che non ha mai ceduto alla tentazione di sporcare, stemperare e discernere i momenti comici, evidenziandoli senza mai esagerare, piegandosi volta a volta anche alle esigenze di spalla, specie nel secondo tempo, ma mantenendo ben fermo il controllo, nonostante le incertezze attoriali della Ferrante abbiano reso talvolta molto arduo il suo compito.

Giuliana Cutore

26/1/2014

 

 

 

 

Giobbe Covatta all'ABC di Catania

Una serata all'insegna dello sberleffo

La satira nasce con l'uomo e scopo degli attori comici è certo quello di divertire, allietare, svagare e ricreare il pubblico. Ma in verità ci sono forse due modi di indurre alla risata: uno più leggero, ameno, superficiale, che si avvale dell'eterno contrasto uomo-donna, della barzelletta, del calembour, del motto di spirito ecc; ed un secondo più mordace, tagliente, acre, ma dall'intento più profondo, che intende diventare pedagogico, irriverente verso governanti, politici ed alti magnati della finanza, quasi rivalsa beffarda dell'uomo comune.

Quest'ultima tipologia di satira è tipica del comico “impegnato”, del comico contestatario, che vuole dar voce ai deboli, ai vinti, agli sconfitti, ai diversi, agli emarginati, ai discriminati, insomma un comico alla Dario Fo, alla Maurizio Crozza ed appunto alla Giobbe Covatta, per distinguerlo da quello più ovattato, disimpegnato e quasi cabarettista, come Gino Bramieri, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini ed altri.

Venerdì 19 novembre, presso il teatro ABC di Catania si è esibito Giobbe Covatta, un comico che ha evidenziato ampiamente di appartenere alla gamma dei comici che come scriveva Orazio intendono con le loro interpretazioni cogliere le profonde contraddizioni della realtà e del sociale, il cui intento è quello «ridendo castigat mores» e nel contempo oltre loro stessi di far ridere anche la gente mettendo in ridicolo figure di ministri, onorevoli, giornalisti, divi, politici e ogni sorta di personaggio della vita pubblica.

Bersagli quasi fissi dello humor partenopeo messo in campo dall'abilissimo, versatile e spassoso comico sono stati il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ed i ministri Brunetta, Gelmini, Carfagna, Bondi, messi alla berlina con una verve davvero esplosiva, scoppiettante ed esilarante, rimarcandone perfino gli enormi strafalcioni e svarioni. L'attore ha dimostrato di essere un eccellente showman, riuscendo da solo a tenere la scena per quasi due ore, modulando la voce con estrema accortezza ed abilità, utilizzando una gestualità elegante e disinvolta ma sempre perfettamente contestualizzata, non annoiando mai, perfino quando ha proposto la lettura della Carta Internazionale dei Diritti dell'Uomo. Il foltissimo pubblico assiepato nella platea del teatro ABC ha gratificato Giobbe Covatta di lunghi, calorosi e reiterati applausi.

Giovanni Pasqualino

20/11/2010