La Gazza ladra
alla Scala di Milano
Dopo un'assenza di centosettantasei anni dall'ultima edizione il Teatro alla Scala ha messo in cartellone l'opera semiseria La gazza ladra di Gioachino Rossini, che ebbe la prima esecuzione proprio nel teatro milanese il 31 maggio 1817. Un inspiegabile oblio, come affermato dal maestro Riccardo Chailly, il quale ha voluto fortemente questa nuova proposta e allo stesso tempo ha aggiunto un altro titolo rossiniano al personale catalogo d'esecuzione. Ne' La gazza ladra la favola e il romanzo si amalgamano in modo caratteristico e il ritmo porta avanti la vicenda fino al lieto fine. C'è però l'aspetto drammatico e patetico, non secondario al brillante, in particolare sottolineato dal rapporto padre e figlia (Ninetta-Fernando) con accenti che sono antesignani del romanticismo operistico della scuola italiana. L'intera partitura, molto difficile sia per i cantanti sia per l'orchestra, è un perfetto equilibrio tra fasto e candore, ritmo e ironia. Opera poi dimenticata, tranne la sinfonia, per quasi due secoli non solo a Milano, e che vanta una ripresa consistente solo negli ultimi anni. Molti musicologi affermano che l'opera è per altezza d'ispirazione e per drammatica potenza e accuratezza nella forma una delle migliori dell'autore, complice anche una strumentazione raffinata. È un dramma realistico che dalla semplice commedia campagnola diventa, specie nel II atto, una vera tragedia e si conclude riprendendo il carattere iniziale. Anche se il “fatto” è assurdo, una ragazza condannata a morte per un furto di posate d'argento, Rossini trova modo di sviluppare drammaturgia e musica sfoderando tutte le variegate possibilità, arie di sortita brillanti, grandi arie solistiche, innumerevoli pezzi d'assieme, un brindisi, giocando con grande maestria sui diversi stili, toccando vertici compositivi davvero rilevanti e d'effetto. A tal proposito è interessantissima l'intervista al M.o Chailly, pubblicata nel programma di sala, che illustra nel dettaglio tutte le caratteristiche musicali dell'opera.
Poco efficace la regia di Gabriele Salvatores, che si limita a narrare in senso onirico ma senza un'idea drammaturgica vera e propria, poco edificanti le scene brillanti e non sufficientemente focalizzate quelle drammatiche. Sotto un peculiare punto di vista si potrebbe ipotizzare che il regista nella sua lettura abbia voluto parafrasare la commedia dell'arte, ecco allora inserite con pertinenza nella sinfonia le straordinarie marionette di Carlo Colla, in seguito nel corso dell'opera utilizzate con dozzinale riuscita. Discutibile lo spostamento delle masse, poche idee innovative e qualche “imprestito” da altri, come la mima-acrobata che interpreta la gazza cui va aggiunto l'improbabile corteo dell'esecuzione a morte di Ninetta da Santa Inquisizione con gendarmi incappucciati di nero. La scena semifissa di Gian Maurizio Fercioni, pur nella statica bellezza, non aiuta, ad eccezione della struttura sulla destra che, teatro nel teatro, si trasforma in casa nobile, prigione e tribunale. Lo stesso Fercioni ha mano più felice nei costumi, anche se quello del podestà, che parafrasava il conte Dracula, era alquanto bizzarro. Le luci di Marco Filibeck erano molto efficaci e di grande impatto.
La direzione di Riccardo Chailly era esemplare per cristallina esecuzione e massima attenzione a tutti i dettagli, cesellata in ogni angolo con cura maniacale assieme all'ottima orchestra e al coro in forma lucenti. Tuttavia, egli sceglie una lettura più giocata sul terreno drammatico a discapito talvolta del ritmo incalzante, già dalla sinfonia si percepisce il ruolo fondamentale della solennità, anche se i tempi erano ben sostenuti. Se la scena del tribunale è strabiliante per aderenza stilistica, e funzionali sono tutti i terzetti e concertati, meno riuscito è parso il brindisi, ma probabilmente è solo questione di gusto personale. Inoltre, non è da sottovalutare l'amorevole contributo del maestro nei confronti delle voci, sempre sorrette con perizia e giusto equilibrio sonoro.
Nel complesso la compagnia di canto era apprezzabile, anche se più concentrata sullo spessore rispetto all'espressività. Rosa Feola, Ninetta, è un soprano musicale e preciso, convince sul lato patetico meno su quello drammatico. Piuttosto esile, pur senza gravi pecche, il Giannetto di Edgardo Rocha. Migliori le voci basse di Alex Esposito, Fernando, per perizia e precisione vocale anche se talvolta monocorde, e Paolo Bordogna, Fabrizio, elegante e istrionico il quale offre una luce accattivante al personaggio che sovente scivola in disparte. Onore alla professionalità di Michele Pertusi, Gottardo, ma ormai ruoli così virtuosi dovrebbero cedere il passo ad altri più congeniali.
Rilevante per accento e musicalità la Lucia di Teresa Iervolino e straordinariamente bravissimi tutti gli altri interpreti nei ruoli minori, Matteo Macchioni (Isacco), Matteo Mezzaro (Antonio), Claudio Levantino (Giorgio e pretore) e Giovanni Romeo (Ernesto). Il ruolo meno riuscito è stato quello di Pippo interpretato da Serena Malfi, la quale non possiede le caratteristiche necessarie ed è penalizzata anche da una voce poco affascinante.
Alla quinta recita cui ho assistito il teatro era quasi esaurito e giustamente prodigo di applausi, la gazzarra della prima è ormai dimenticata.
Lukas Franceschini
6/5/2017
Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano-Teatro alla Scala.
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