La Gioconda
al Pavarotti di Modena
Al Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” seconda tappa della produzione de La Gioconda di Amilcare Ponchielli, un tempo titolo di repertorio oggi confinato alla peculiarità, dopo il debutto, la settimana precedente, a Piacenza. Il melodramma in quattro atti è tratto dal dramma Angelo, tyran de Padoue di Victor Hugo, e il libretto fu scritto da Tobia Gorrio, pseudonimo in anagramma di Arrigo Boito. La prima fu al Teatro alla Scala l'8 aprile 1876, in seguito l'autore approntò modifiche in altre versioni per arrivare alla definitiva del 1880. La drammaturgia è sontuosa e spettacolare, con danze (tra cui la celebre Danza delle ore), effetti e di colpi di scena che fanno de La Gioconda il prodotto più rappresentativo del genere della grande opera, che gli operisti italiani avevano importato dalla Francia sulla base del grand opéra. Il libretto di Boito contiene tratti non convenzionali, sia nella poetica sia nel taglio drammaturgico, che hanno contribuito a un successo generale dell'opera, incontrastato e duraturo. Esclusa la dimensione storica, il dramma di Hugo fu elaborato da Boito in chiave simbolica alla luce dell'estetica della Scapigliatura con un lessico dei personaggi che sembra prescindere dalla loro estrazione culturale ed è quello, insieme ricercato e asciutto, tipico della poesia di Boito. Eppure quest'opera che potrebbe essere paragonata a un antico sceneggiato televisivo piacque al pubblico, che ne decretò il trionfo, e agli interpreti che si cimentarono in personaggi passionali, mentre la critica pur storcendo sempre il naso dovette ammettere che la confezione teatrale è rilevante ed efficace. Tutte queste peculiarità sono state proposte nella sua interezza nella produzione di Modena. Innanzitutto c'è la mano sicura ed efficace del regista Federico Bertolani, il quale sceglie giustamente l'elemento dell'acqua come denominatore, l'opera è ambientata a Venezia, e la città è citata con dei riferimenti semplici ma chiari, i quali magari trovano poca efficacia nel III atto, ma impressionano favorevolmente nel II. La lettura drammaturgica è, di fatto, minimalista, ma è forte il vigore imposto ai personaggi, di ottima fattura teatrale e grande fascino nello stile di dramma passionale. Andre Belli, scenografo, contribuisce alla resa attraverso semplici ma precisi elementi, utilizzati con garbo e stile. Bellissimi i costumi in foggia storica di Valeria Donata Bettella, ricchi e appariscenti per i nobili, più lineari e quasi monocromatici per il popolo. Menzione particolare per Fiammetta Baldiserri, ideatrice di un disegno luci molto teatrale.
Sul podio dell'orchestra Regionale dell'Emilia Romagna Daniele Callegari dimostra una precisa e centrata conoscenza di questo repertorio, realizzando una lettura molto variegata e in perfetto equilibrio con lo stile sempre in bilico tra romanticismo e pennellate opulenti. Il direttore è anche un valido accompagnatore di voci, sempre attento alle esigenze dei singoli, senza tralasciare un filo narrativo che deve essere coinvolgente e incalzante. Devo rilevare che nelle ultime occasioni nelle quali ho avuto la possibilità di ascoltare Callegari, il direttore ha raggiunto una solida e peculiare lettura operistica, aspetto che non mi aveva particolarmente convinto nei primi ascolti. Artefice di questo lusinghiero risultato è stato anche l'apporto dell'Orchestra, in forma precisa in sonorità vibranti e molto coinvolta teatralmente. Ottima e di altro livello la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, diretto da Corrado Casati, e buon la partecipazione del Coro di Voci bianche del Coro Farnesiano di Piacenza istruito da Mario Pigazzini.
Protagonista era Saioa Hernandez, cantante di forte temperamento teatrale con voce bella e molto accattivante nel timbro. Tuttavia il settore acuto era quello che dimostrava qualche carenza, ma considerata la complessità del ruolo e le difficoltà sia tecniche sia di tenuta, non possiamo che registrare un giudizio positivo generale della sua performance, la quale è ben superiore a quella di Norma a Padova qualche anno addietro. Debuttante nel ruolo di Enzo Grimaldo era Francesco Meli, il quale ha mostrato straordinario timbro e bellezza vocale. Il raffinato cantante ha espresso anche un fraseggio pertinente, meno avvincente nel colore. La sua è una prova maiuscola, anche se l'attuale orientamento verso un repertorio così pesante lascia perplessi poiché il peso specifico della voce potrebbe essere compromesso. Anna Maria Chiuri interpreta una Laura regale e fiera, commovente nel duetto con il marito al terzo atto, sfoderando un ricercato fraseggio e un eloquente accento anche se il settore acuto non è sempre preciso.
Imbarazzante il Barnaba di Sebastian Catana, l'interprete avrebbe anche le intenzioni giuste e la recitazione è molto credibile e partecipata, ma il canto è povero di smalto e con parecchie lacune tecniche. Giacomo Prestia, Alvise Badoero, è l'artista nobile, altero, elegante, ma è giunto alla frutta di una luminosa carriera. Molto brava Agostina Smimmero, la Cieca, contralto dotata di grande voce e ben amministrata in tutti i registri, il grave è impressionante, peculiarità che assieme a una raffinata recitazione le permettono di disegnare un personaggio completo. Nelle parti minori, brilla di luce propria il rifinito Zuane di Graziano Dallavalle, cantante dotato di voce intensa e usata con spiccata musicalità, assieme al bravo Isepo di Lorenzo Izzo, la buona prova di Nicolò Donini, e il preciso Simone Tansini, nel doppio ruolo di pilota e Barnabotto.
Molto brava la Compagnia Artemis Danza di Monica Casadei, autrice anche delle coreografie, che ha reso con efficacia il celebre balletto in un ristretto spazio. Al termine successo trionfale per tutta la compagnia, con particolari ovazioni per Hernandez e Meli.
Lukas Franceschini 6/4/2018
Le foto del servizio sono di Roberto Ricci.
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