RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Walter Manfrè: studio e irrequietezza

È uno di quei rari esempi in cui fibra etica, talento, mobilità d'ingegno e raffinatezza culturale prodigiosamente s'incontrano e restano felicemente sposati con un'integrità morale e intellettuale ai limiti del Guinness dei primati.

Studio e irrequietezza. In due parole, Walter Manfrè, regista e a suo tempo attore ma più corretto sarebbe dire uomo di teatro e da teatro.

Da un canto una gavetta artisticamente e professionalmente blasonata, dall'altro un “brevetto” che sta a metà tra scrittura drammaturgica e messinscena e che da lunga pezza ha un nome: teatro della persona (gli esempi sono numerosi, intricati e intriganti: Visita ai parenti, La confessione, Il viaggio, Il vizio del cielo, La cena …).

E tuttavia oggi Manfrè ci prova e si prova con un Pirandello decisamente raro a cui un suo “compaesano” (lui è agrigentino… di Porto Empedocle) devotissimo e affetto da teatralità congenita – Andrea Camilleri – diede, a suo tempo (era il 1970, al Teatro antico di Tindari), nuova cittadinanza e nuova traduzione in lingua siciliana. Glauco del dannunziano Ercole Luigi Morselli che aveva visto la luce subito dopo la Grande Guerra con un diciottenne Annibale Ninchi (sapida e “scomoda” la cronaca teatrale che ne fece Antonio Gramsci sull'Avanti!) ha avuto un'altra delle sue “metamorfosi” in Glaucu.

Oggi, dunque, e più precisamente sabato 18 agosto dopo il debutto alle Dionisiache del Calatafimi Segesta Festival, Walter Manfrè orchestra nuovamente il suo “Omaggio a Camilleri” tornando volutamente sul “luogo del delitto” e cioè al Teatro antico di Tindari che lo vide, giovanissimo, nel ruolo del pastore Musicu ché all'epoca era attore nella Compagnia guidata da Camilleri.

La produzione – che vede l'International Theatre Centre Comiso di Manfrè affiancato dal Teatro della Città e Arielè – chiama in causa un interprete di grande pregnanza quale Andrea Tidona (Forchis) e con lui Guja Jelo ad incarnare passione e invasamento di Circe.

E ancora Giupi Randazzo (Glauco), Noemi Leone (Scilla), Tiziana Bellassai (Atropo), Virginia Bianco (Cloto), Matilde Masaracchio (Lachesi), Manuel Manfrè (Musicu), Sebastiano Presti (Marinaru), Sergio Spada (Biolcu), Alessandro Bonaccorso (Ichinu), Aziz Kalas (Turcu), Maurizio Modica (pescatore anziano), Angelo Vulcano (lottatore). E con le sirene: Valentina Floriddia, Flavia Giarracca, Maria Gina Taranto. Danzatrice solista: Sofia Errigo. Le musiche originali sono di Carlo Muratori; scene e costumi rispettivamente di Simone Raimondo e Valentina Melilli.

Di Glauco a teatro – novus incola ponti così chiamò Ovidio in Metamorfosi il bellissimo pescatore forse figlio di Nettuno, perdutamente innamorato di Scilla e a lei fedele perciò irretito (e punito) da Circe ma poi divenuto tritone del mare esistono almeno due atti di nascita.

Il primo si deve appunto a Morselli, all'alba del XX secolo: pare che l'autore ne avesse scritto perché “impressionato” dalle barche del porto d'Ancona e, ancor di più, dai racconti d'un pescatore. Tra le altre cose, leggenda vuole che il nome di battesimo del nostro amato e immenso Glauco Mauri si debba al fatto che la madre dell'attore fosse stata accanita fan proprio di Ercole Luigi Morselli. Di questo Glauco nell'italiano decisamente impregnato d'odori e ardori dannunziani, Gramsci disse che si trattava di “un tentativo apertamente confessato di fare in teatro cosa diversa almeno dal comune, di trasfigurare l'azione scenica con una intuizione di poesia”. Poi però aggiungeva, senz'appello: “Ma è pure esatto dire che il tentativo è fallito”.

Il secondo atto di nascita si deve ad Andrea Camilleri che così racconta il percorso più o meno accidentato che dalla compagnia del “Teatro Mediterraneo” di Martoglio e Pirandello al Teatro Argentina di Roma l'aveva portato fino a lui, nel 1970: “Pirandello, che non amava il linguaggio dannunziano di Morselli, prese in mano quel testo non per elezione, ma per aiutare l'amico Morselli che versava in disagiate condizioni. Portata a termine la traduzione e appena cominciate le prove, giunse la notizia che il più noto e raffinato dei direttori artistici dell'epoca, Virginio Talli, aveva manifestato l'intenzione di mettere lui in scena Glauco con la sua compagnia (cosa che poi fece e fu un trionfo). Per non far perdere all'amico Morselli questa grande opportunità, Martoglio tolse l'opera dal cartellone. La traduzione pirandelliana venne messa in scena da Grasso junior nel 1922 e poi ripresa con la mia regia, nel 1970, al teatro greco di Tindari”.

•  Ah, lo volevo dire! (giusto per intonarci all'Uomo del Càvusu), Manfrè. Il ritorno a Tindari, come 48 anni fa, è proustiana recherche du temps perdu?

“In parte sì. Questa pièce diventò per la prima volta “ufficiale” nell'edizione diretta da Camilleri, fu quasi una sua scoperta e lui volle proporla, all'epoca, con la co-regia di Turi Ferro. In quell'occasione io diedi il mio primo giovane contributo nel ruolo del pastore Musicu. Un momento che mi è rimasto nel cuore (ndr: Manfrè è molto restio a dirlo ma l'emozione non può che crescere, hic et nunc, dinanzi al fatto che in questa edizione a vestire i panni del giovane Musicu c'è suo figlio Manuel, 18 anni) . Quest'anno, Camilleri ha deciso di donare la parte della sua biblioteca di Tindari al Comune di Patti e quando ne sono venuto a conoscenza ho pensato che sarebbe stato bello riproporre nello stesso luogo questo testo che ha una sua storia, dall'insuccesso di Morselli in avanti. E l'edizione in dialetto siciliano è assai affascinante perché il mito si riempie di poesia”.

•  Poesia e Marcia su Roma? Impresa difficile.

“Fu indubbiamente scritto in epoca fascista e non si può negare che vi fosse dentro il colonialismo e tutta l'ansia di conquista che l'accompagnava. Tuttavia Glaucu è un drammone dotato di grande forza”.

•  E non si sottrae all'ennesima “metamorfosi” del tempo e nel tempo: il mare, salvezza o camposanto, è liquido amniotico di storia presente.

“Infatti. Nel testo c'è scritto: “Il mare non è fatto per separare ma per unire i popoli”, un assioma meraviglioso che faccio ripetere più volte ad una sorta di coro. Il mare alimenta anche il sogno d'essere liberi dalla terra in cui si è nati e, nel mare, Glauco conquista l'immortalità”.

•  Non ricordo se all'interno di Gran Teatro Camilleri lo scrittore, già regista e “pigmalione” di Glaucu, definisce la trovata di regia “imbecillità sublime”. E insiste: è come se a chi suona un'importante opera musicale venisse in mente, a certo punto, di fare “pirinpìn”. Che accade nel “suo” Glaucu, Manfrè?

“A costo di sembrare “antico” non ho fatto ricorso a nessun supporto o “segno” particolare. Tento, semmai, di usare una dizione che possa riecheggiare anche il “vecchio” teatro con i suoi moduli di recitazione. Per ciò che concerne l'assetto scenico, abbiamo “pescato” nella riserva del regista Gianni Salvo e del suo Piccolo Teatro, tenendo costantemente presente che a Tindari e su quella scena non è possibile montare granché. Del resto, su personaggi mitici che non “esistono” puoi solo fare congetture e, per conto mio, cerco solo di non calcare la mano sul pianto e sul melodramma”.

•  Da un canto Forchis-Tidona che s'oppone a tutti i costi nel concedere Scilla a Glaucu, dall'altro Circe-Jelo ovvero l'altra faccia dell'amore, l'amore “malato”. In mezzo, palpitano gli allievi attori dell'International Theatre Centre di Comiso. E ci sono tutte e venti le giovani agguerrite promesse del teatro al futuro. Un sogno per loro da consumare prestissimo?

“Questa realtà è il mio respiro e vorrei che s'allargasse fuori dai confini di Comiso, che si fermi qui è puro spreco. Sono molto fiero della mia scuola benché non se ne parli certo tutti i giorni sui media”.

•  Si allarga anche il “collegio docenti”?

“Sicuramente. Fermo restando che in Andrea Tidona sempre al mio fianco trovo un magnifico compagno di viaggio, ci sono già contatti con Mauro Avogadro e, con un occhio alla popolarità, penso a Milena Vukotic e Mariano Rigillo ed Edoardo Siravo. Forte dell'esperienza pirandelliana “su campo” con Giuseppe Pambieri, voglio buttare i miei ragazzi nell'acqua fredda, voglio che agiscano in medias res , m'interessa che “avvertano” il mestiere che è fine primo ed ultimo di qualsiasi accademia”.

Carmelita Celi

11/8/2018