Il Divino Cantore
Stando ad una testimonianza lasciataci dallo stesso compositore, Christoph Willibald Gluck imparò a suonare vari strumenti esercitandosi nel corso della notte in segreto, per sfuggire al controllo del padre, che era nemico fiero della musica. Per scampare a tale genitore autoritario il futuro compositore tedesco, fortunatamente per noi posteri, fuggì diciassettenne da casa e si recò a Praga per studiare presso la facoltà di filosofia (ma non si sa se riuscì a portare a termine i suoi studi) e anche musica. Da Praga si trasferì a Vienna nel 1736 e qui cominciò a partecipare alle esecuzioni di musica da camera che si svolgevano nel palazzo dei principi Lobkowitz. Poco dopo si spostò a Milano dove perfezionò le sue conoscenze musicali con G. B Sammartini e cominciò pertanto a comporre soprattutto melodrammi e balletti. L'evoluzione della produzione operistica di Gluck trovò compiuta realizzazione e successo di pubblico con l'importante esecuzione dell'azione teatrale Orfeo ed Euridice su libretto di Ranieri de' Calzabigi, che viene ancor oggi considerata come la concretizzazione delle teorie della riforma del melodramma che si basava sulle tesi desunte dall'estetica dell'opera in musica di Diderot e Algarotti, estetica tendente a preconizzare una maggiore aderenza al contenuto drammatico del testo alla parte musicale. Anche l'orchestra non viene più trattata in funzione subordinata ma comincia a partecipare in modo più autonomo rispetto alla interpretazione della situazione scenica. La prima versione dell'opera ebbe luogo a Vienna il 5 ottobre 1762, dove il personaggio di Orfeo fu affidato ad un contraltista, ma successivamente l'autore ne fece una seconda trasposizione in lingua francese arricchendola di pagine vocali, di nuove danze, e trasportando nella tessitura tenorile la parte di Orfeo. Tale rifacimento debuttò a Parigi il 2 agosto del 1774.
Il Teatro Massimo di Palermo ha proposto il 19 settembre (con repliche il 20, 21, 23, 24 e 26) un nuovo allestimento dell'Orfeo ed Euridice della versione originale viennese anche se il direttore musicale dell'opera Gabriele Ferro, come egli stesso ha dichiarato, ha voluto anche inserire il terzetto del finale e la Ciaccona della seconda versione parigina, perché da lui stesso giudicati “…talmente belli musicalmente che sarebbe stato un peccato non eseguirli, per il resto è tutto estremamente fedele alla prima versione”.
La regia di Danilo Rubeca (che ha curato anche le coreografie) ha saputo ricreare una dimensione mitica e affabulatoria attraverso la quale la musica trovava la sua totale pacificazione e realizzazione. La semplicità e linearità della conduzione drammaturgica pertanto si legava in felice connubio con la dimensione sonora, rovesciando sull'uditorio una simbiosi stuporosa e quasi onirica che ne catturava l'attenzione e l'emozione. La scene di Domenico Franchi si presentavano semplici, scarne, sfrondate da qualsiasi arredamento e diventavano esclusivi spazi-ricettacoli di suoni, colori, movimenti, dove sembrava regnare un'attonita e quasi immobile atemporalità. I costumi di Alessio Rosati, dal taglio moderno e contemporaneo, e le luci di Marco Giusti hanno accentuato e potenziato tale collocazione atemporale del melodramma di Gluck. La parte di Orfeo, scritta in origine dal compositore tedesco per il castrato Guadagnini che era un contralto dell'epoca, è stata interpreta dal controtenore Filippo Mineccia, il quale non ha certo smentito la sua fama di interprete di spicco del repertorio barocco nell'attuale panorama canoro contemporaneo. Egli ha esibito una vocalità ampia, estesa e rifinita che dava al personaggio di Orfeo una fragranza tanto accorata e afflitta quanto patetica e struggente. Il soprano Federica Guida (Euridice) ha saputo mettere in evidenza i tratti peculiari di afflizione e delicata disperazione prima e di gioiosa esaltazione poi della giovane sposa con un'interpretazione nella quale ha dimostrato di possedere una vasta gamma di sonorità colorite e ben tornite oltre che una egregia e ben governata tecnica vocale. Anche il soprano Nofar Yacobi (Amore) ha esibito una salda e tersa tecnica unita ad una suadente e attraente timbratura vocale che si estrinsecava in modo lineare, corretto e fluido attraverso una dizione pulita e limpida.
Il maestro Gabriele Ferro ha diretto l'orchestra del Teatro Massimo di Palermo con la sua consueta garbata, elegante e raffinata abilità e professionalità, mettendo in luce tutte le splendenti perle di una partitura che ancor oggi, e a buon diritto, viene considerata come una delle opere più aggraziate e significative di tutta la storia del melodramma mondiale. La preparazione del coro da parte del maestro Salvatore Punturo è stata accurata e scrupolosa così come la direzione del corpo di ballo da parte di Jean-Sèbastien Colau. Fragorosi e parecchio calorosi i consensi da parte del numeroso pubblico convenuto alla rappresentazione.
Giovanni Pasqualino
25/9/2023
La foto del servizio è di Rosellina Garbo.
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