RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Ognuno è fabbro della propria sorte

Capita abbastanza raramente di trovare nella drammaturgia moderna un testo che sia immune da tendenze predicatorie, dall'apologia indiscriminata di diseredati e di diversi di vario genere, in una sorta di razzismo all'incontrario dove il discriminato finisce per essere chi non ha genitori separati, non è nero, gay, giallo, induista, buddista, mussulmano e via discorrendo; sì, perché ciò che oggi sembra pervadere la cultura contemporanea è una sorta di invettiva indiscriminata contro la gente normale, che assume toni paragonabili a quelli apocalittici di certi corrucciatissimi padri della Chiesa tra l'era tardo antica e l'alto Medioevo. Altra tematica della modernità, diametralmente opposta a questa, è l'insipida comicità, mascherata da satira, che si appunta su altrettanti luoghi comuni, ritraendo sempre i soliti beceri triangoli amorosi, gli equivoci più o meno insipidi a sfondo omosessuale, quando non si riversa nella noiosissima comicità a sfondo politico, dove come al solito ci sono i buoni e i cattivi, con schieramenti assolutamente prevedibili e sfidanti non solo ogni buon senso, ma financo la stessa realtà fattuale, costituita, almeno nel nostro paese, da un'assurda confusione dove non si capisce più niente e dove nessuno sembra più essere né buono né tampoco onesto.

Ė stata quindi una lietissima sorpresa Good People, di David Lindsay-Abaire, enigmatico scrittore del quale pochissimo si sa, tranne che nel 2007 ha vinto il Premio Pulitzer per Rabbit Hole e che vive a Boston, dove è appunto ambientata questa pièce, in scena al Teatro Verga di Catania fino al 25 gennaio. La vicenda, in breve, narra di Margie, una donna di mezza età che vive con la figlia minorata nei sobborghi di Boston, sempre alle prese con una cronica mancanza di denaro, dato che tutti i datori di lavoro la licenziano perché non riesce quasi mai ad essere puntuale. Perseguitata da una padrona di casa-amica, che le fa anche da bambinaia per spillarle denaro, e che minaccia di buttarla fuori di casa, viene casualmente a sapere che una sua vecchia fiamma di gioventù, Mike, è diventato un medico di successo e che se la passa molto, ma molto bene. Da qui a cercare di battere cassa presso costui il passo è breve, e ancor più immediata l'idea di insinuarsi nella vita dell'uomo, ormai felicemente sposato, con l'idea non tanto recondita di appiccicargli il concepimento della figlia minorata, per ottenere una specie di vitalizio che la tiri fuori dai guai.

Quel che però più colpisce in questa scarna, e se vogliamo anche comune vicenda, è la logica estrema della conduzione, che evita il facile passo falso di dipingere Margie come una povera derelitta tout court, vittima di una società brutale e aggressiva, e di converso Mike come colui che, riuscito a tirarsi fuori dal ghetto della miseria, rinnega in blocco tutto il suo passato, vergognandosene e giudicandolo lesivo per il suo nuovo ambiente. Invece, quel che viene fuori da una vicenda incalzante e a tratti davvero comica, è il semplice fatto che Margie è solo una donna che per tutta la sua vita si è semplicemente lasciata vivere, demandando ad un domani indefinito una possibile riscossa, e nello stesso tempo quasi trovando nella sua disagiata situazione di partenza una giustificazione continua al suo sempre più totale affondare nella miseria e nella precarietà. Nei dialoghi con Mike, e poi con la giovane moglie di questo, emerge una donna oscillante come una banderuola, incapace di scelte dignitose ma anche di essere onestamente cattiva fino in fondo: ricatta, minaccia, tenta la carta della pietà, ma è poco convinta anche in questo, e viceversa Mike, rifiutando di sentirsi un privilegiato o un diverso (nel senso specificato prima del razzismo all'incontrario) afferma con estrema dignità il valore del suo sacrificio personale che lo ha condotto ad una vita agiata e ad un'esistenza familiare abbastanza felice. Un lavoro dal taglio netto, scritto con un linguaggio incisivo, crudo e incalzante, che ha trovato nell'intelligente regia di Roberto Andò un valido e degno complemento: diviso il palcoscenico in due grandi settori, Andò ha creato come un meccanismo di scatole-cassetti che, venendo avanti, delimitavano e inquadravano i distinti quadri della commedia, con scene scarne ed essenziali, limitate a pochi anodini e freddi mobili, che sottolineavano benissimo da un lato lo scarto sociale tra Mike e Margie, dall'altro scandivano la vita dei sobborghi bostoniani, eguali ad ogni altro sobborgo, nella loro bruttezza disarmante, simbolo e contorno, ma anche specchio di una miseria più morale che materiale, di un sonno della ragione che non genera mostri, ma solo un insulso vegetare tra pettegolezzi femminili e sale bingo.

Anche la recitazione è stata di ottimo livello, impostata su una equilibrata equidistanza tra il naturalismo e lo straniamento: se infatti i quadri del sobborgo erano improntati ad una gestualità più accentuata, a pose che per certi versi ricordavano la commedia di carattere, con frequenti cadute nel gergale e nella dizione volutamente sporca, con risvolti comici più immediati e grossolani, nei dialoghi tra Margie e Mike si assisteva ad un notevole innalzamento del tono, dove, e qui si rivelava appieno la bravura di Michela Cescon, la protagonista sembrava quasi recitare una parte, più o meno come una villana che entra in un negozio di lusso, mentre Luca Lazzareschi, esattamente al contrario, sfoderava estrema naturalezza nei dialoghi con la moglie ma, confrontandosi con Margie, esprimeva proprio l'assoluto spaesamento di chi si ritrova tra capo e collo un passato ormai morto, ma al quale è rimasto legato. Attori di grande classe, entrambi sono riusciti ad evitare ogni sbavatura, delineando con scrupolo certosino dei personaggi certamente problematici, che in mani meno esperte avrebbero rischiato di scadere nel marionettistico. Bravissimi anche i comprimari Loredana Solfizi, Roberta Sferzi, Nicola Nocella e l'elegante Esther Elisha, che hanno recitato con buona professionalità, verve comica e che hanno mantenuto una notevole compostezza anche nelle scene dove emergeva la cruda realtà dei ghetti metropolitani.

Giuliana Cutore

19/1/2015

La foto del servizio è di Salvatore Pastore.