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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Innsbruck

La clemenza di Silla

Figura sfuggente e ambigua quella di Federico il Grande di Prussia, lettore vorace, amante delle arti e in particolare della musica, che frequenta con abilità, e nel contempo capace di muoversi con cinismo sul tormentato scacchiere politico coevo. Rifugge il solipsismo maniacale che porta ad esempio Ludwig di Baviera a un completo distacco dal mondo e a una fine prematura. Quando sale al trono, nel 1740, Federico fa edificare un magnifico teatro d'opera a Berlino, la cui inaugurazione viene affidata al dramma per musica Cleopatra e Cesare di Carl Heinrich Graun, nominato nel medesimo anno Maestro di cappella del re.

Nel loro instancabile percorso di riscoperta della musica antica, le Innsbrucker Festwochen der Alten Musik hanno presentato quest'anno Silla, opera del citato Graun con libretto a firma del sovrano stesso (versificato da Giovanni Pietro Tagliazucchi). Nelle consuete vertigini della trama amorosa, la figura del dittatore assume un notevole rilievo. Silla, infatuato della bella Ottavia e spinto dal luciferino consigliere Crisogono, arriva a rapirla per soddisfare le proprie brame. Giungerà a comprendere il proprio errore, condannando all'esilio l'ispiratore del male e rinunciando, in un estremo atto di clemenza, alle tentazioni del desiderio e al potere. Evidente celebrazione del sovrano illuminato ideata da Federico stesso. Mai riscoperta fu più propizia. La partitura è uno scrigno di preziosità, e annovera fra i titoli più interessanti presentati al Festival negli ultimi dieci anni. Si pensi alla chiusa del primo atto. Un lungo recitativo accompagnato svela la dicotomia che abita l'animo di Silla, combattuto fra i languori amorosi e la necessità di mantenersi saldo nel potere. Il conflitto fra passione e raziocinio, del resto, è il fulcro dell'opera seria. Il dittatore appare solo, totalmente in balia dei propri rovelli interiori.

Bejun Mehta tiene magnificamente la scena. Il recitativo è reso con dovizia di colori e omogeneità di fraseggio, mentre l'aria conclusiva espande all'estremo gli struggimenti emotivi. Basterebbe questo momento per annoverare Silla fra i grandi titoli del repertorio barocco. Di rilievo il cast, che annovera ben quattro controtenori fra i più noti nel panorama attuale (del resto i castrati rappresentavano il livello più alto della gerarchia operistica settecentesca). Accanto all'ottimo Bejun Mehta troviamo Valer Sabadus nel ruolo di Metello, il consigliere saggio e inascoltato di Silla, Hagen Matzeit (Lentulo) e Samuel Mariño (Postumio). Qualche altro esempio della maestria di Graun. Che il da capo fosse una sorta di esercizio retorico, volto a ribadire ed espandere un determinato concetto, lo dimostra l'aria “Vinci, Signor, te stesso”, nella quale Metello cerca di far recedere Silla dai suoi barbarici propositi. Un momento fra l'altro risolto con convincente espressività da Sabadus, appena un poco ingolato in alcune agilità. Addirittura sorprendente per gli impasti timbrici e la diversificazione ritmica il duetto fra Ottavia e Silla, “Barbaro traditore”. La donna mostra la propria fermezza con piglio scattante, mentre le frasi affidate a Silla tentano la seduzione con una ritmica più lenta, accarezzata dalle pennellate cromatiche dei fagotti e degli oboi. Pochi esempi tratti da un unico ascolto, che avremo modo di approfondire in quanto l'opera è stata registrata, e vedrà la luce discografica nel prossimo autunno. Samuel Mariño coglie un vero e proprio successo personale. Il cantante di origini venezuelane in realtà non si definisce controtenore, ma sfoggia un timbro naturale da autentico soprano. La voce è chiara e agilissima, appena un poco sforzata negli estremi acuti. Dal punto di vista scenico deve ancora maturare. Completava il quadro dei sopranisti un valido Hagen Matzeit. Eleonora Bellocci rende Ottavia un personaggio di estrema modernità, forte e decisa nel difendere la dignità femminile. Vocalmente appare ben impostata e convincente sia nel canto di agilità, quanto nelle effusioni amorose. Apprezzabile Roberta Invernizzi nel ruolo di Fulvia. Mert Süngü incarna in maniera convincente il perfido Crisogono, mostrando ottime doti di fraseggiatore.

Di alto livello l'esecuzione strumentale. Alessandro De Marchi dirige con piglio teatrale e dovizia di colori, rendendo pienamente giustizia alla poetica di Graun. La Innsbrucker Festwochenorchester segue perfettamente le intenzioni del suo direttore. Che gli strumentisti eseguano il proprio compito con ardore lo dimostra ad esempio la clavicembalista Chiara Cattani, la quale dall'inizio alla fine canta a bassa voce tutte le parti, un poco per soccorrere i protagonisti in caso di eventuali difetti di memoria, ma specialmente per sincero entusiasmo. Uno spettacolo nello spettacolo. L'allestimento sfugge qualsiasi tentazione avanguardista, e questa è una scelta condivisibile, considerando che si tratta di una prima esecuzione in epoca moderna. Niente teatro di regia, dunque, e nessuna velleità di trasposizione epocale. La scena pensata da Julia Dietrich appare però piuttosto convenzionale, con i fondali dipinti a rappresentare i palazzi dell'antica Roma, a volte oscillanti al passaggio dei personaggi, quasi a evidenziare il loro carattere di finzione. Di uguale impostazione la regia di Georg Quander, prevedibile e priva di voli pindarici. Più convincenti i costumi, in particolare quello di Silla che, con le sue sfumature scarlatte, simboleggia laceranti passioni. Singolare l'abbigliamento del malvagio Crisogono, ispirato alla serie televisiva Il trono di spade. Grande successo di pubblico.

Riccardo Cenci

21/8/2022

Le foto del servizio sono di Birgit Gufler.