RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Una formidabile Elektra

apre S. Cecilia

“Allein”, “sola”, esclama Elektra all'inizio del grande monologo posto al principio dell'opera omonima, frutto straordinario della collaborazione fra il compositore Richard Strauss, nel 1908 ormai in inarrestabile ascesa, e il suo alter ego letterario Hugo von Hofmannsthal. Un definire immediatamente le coordinate in cui si muove la protagonista, reietta nella propria stessa dimora, quella rocca degli Atridi nella quale vivono apparentemente indisturbati gli assassini di Agamennone. Un isolamento caparbio quanto il desiderio di vendetta. Per la sua ultima inaugurazione ceciliana, Pappano sceglie un titolo a lui caro, un'opera fondamentale per la cultura occidentale che non manca di lasciare il segno nello spettatore. Il mito greco, infatti, ci pone di fronte alla grande ombra del fato lasciandoci inermi e smarriti, persi nel vano sforzo di spezzare le catene che ci avvincono. Pur in forma di concerto l'esecuzione ha una carica teatrale che trascende qualsiasi necessità di allestimento.

Aušrine Stundyté è una magnifica protagonista, per presenza scenica, capacità attoriali e vocali. Dicevamo del suo “Allein”, pronunciato con un senso di smarrimento e di abbandono che letteralmente apre il sipario su un mondo intero; con una impressionante varietà d'accenti il soprano lituano modella un personaggio di estrema complessità, percorso da vere e proprie tempeste emotive. Si pensi alla crudele violenza morale che esercita sulla sorella Chrysothemis, per piegarne la femminilità alle esigenze della vendetta, e ancora all'agnizione di Oreste, toccante come raramente capita di ascoltare in teatro. Prova gigantesca della Stundyte, dicevamo, ma il terzetto delle interpreti femminili è tutto di alto livello. Petra Lang incarna una Klytämnestra agitata da incubi orrendi. Nelle sue parole si materializzano esseri che spiano il sonno, come in una tela di Füssli, demoni invisibili che rendono insopportabile la colpa. Mai sopra le righe, la Lang riesce a veicolare le fratture che scuotono la regina, le angosce che rodono la sua anima. Altrettanto brava Elisabet Strid, una Chrysotemis che rivendica la propria femminilità con toni struggenti. A lei è affidata l'estrema, lacerante invocazione ad Orest con la quale si chiude l'opera, foriera di future tragedie. Di fronte al terzetto femminile gli interpreti maschili appaiono un gradino al di sotto, sia perché gli autori gli riservano ridotto spazio d'espressione, sia perché appaiono più compassati nei movimenti scenici. Kostas Smoriginas modella comunque con nobiltà d'accenti le frasi affidate ad Orest, mentre Neal Cooper rende con efficacia la vigliaccheria di Aegisth. Pappano distilla come un sapiente alchimista le componenti orgiastiche e dionisiache della partitura, evitando il pericolo dell'omologazione in toni perennemente barbarici. Gli impeti espressionisti si stemperano in un lirismo decadente, seguendo i repentini mutamenti umorali dei protagonisti. Si pensi ancora al riconoscimento di Oreste, all'improvviso e momentaneo placarsi di un mare altrimenti tempestoso.

Il direttore d'orchestra veste i panni dello scaltro psicanalista, vero esploratore immerso nei meandri dell'anima. L'Orchestra ne asseconda ogni intenzione e sfumatura, in una simbiosi totale. Al termine della recita di sabato, Pappano ha voluto ringraziare il violista Raffaele Mallozzi, al suo ultimo concerto con l'Orchestra dell'Accademia, mostrando la grande empatia creata in tanti anni di collaborazione. Successo strepitoso totalmente meritato. Una interessante mostra sul rapporto fra Richard Strauss e S. Cecilia, strettissimo negli anni dal 1908 al 1936, ricca di lettere e testimonianze fotografiche, coronava degnamente l'evento.

Riccardo Cenci

24/10/2022

La foto del servizio è di Musacchio & Ianniello.