Il Pirata
al Massimo di Palermo
L'opera lirica in due atti Il Pirata, musica di Vincenzo Bellini e versi di Felice Romani, rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano il 27 ottobre del 1827, godé fin dal suo debutto di un successo straordinario al punto che l'anno successivo l'opera si affermò anche nei teatri di tutta Europa e del mondo intero, venendo anche tradotta in francese, tedesco e inglese. L'argomento venne tratto dalla tragedia in versi e in cinque atti Bertram, or the Castle of Saint-Aldobrand, redatta nel 1814 dall'irlandese Charles Robert Maturin e rappresentata due anni dopo al Drury Lane di Londra. Nel 1821, i francesi Charles Nodier e Isidore-Justi Séverin Taylor pubblicarono una libera versione in francese della tragedia e lo stesso Taylor l'anno dopo ridurrà ulteriormente la tragedia nel mélodrame in tre atti Bertram ou le Pirate, con inserti musicali di Louis-Alexandre Piccini, rappresentato al Théâtre du Panorama Dramatique di Parigi il 26 novembre 1822. E sarà proprio da quest'ultimo lavoro teatrale che Romani cavò il libretto de Il Pirata che il Cigno catanese rivestì delle sue deliziose e melodiose armonie. Il nuovo allestimento scenico dell'opera belliniana proposto dal Teatro Massimo di Palermo, che ha avuto il suo debutto il 15 ottobre 2021 (con repliche il 17, 19 e 20), ha messo in evidenza una regia e scenografia dove campeggiavano la linearità e la semplicità, doti certamente rare al giorno d'oggi. Come sottolineava correttamente Arnold Schönberg: “Se la messa in scena di un'opera lirica distoglie dalla musica, allora vuol dire che la messa in scena è sbagliata”. Luigi di Gangi e Ugo Giacomazzi hanno saputo realizzare un efficace equilibrio fra golfo mistico e palcoscenico, insieme a una coordinazione quasi perfetta fra partitura e azione drammaturgica, quest'ultima mai sovrastante o predominante al fluire della musica e del canto. I costumi creati da Isabella Rizza altrettanto semplici, anonimi e dalla tipologia quasi atemporale ben si accordavano con l'impostazione registica generale, così come il gioco di luci architettato da Luigi Biondi.
Il maestro Francesco Lanzillotta ha marcato su una direzione dallo spiccato colore romantico anche se ne evidenziava la componente più idilliaca, mesta e contemplativa, senz'altro più vicina alle corde di Felice Romani e Vincenzo Bellini, che quella tempestosa e tumultuosa tipica dello Sturm und Drang. Il suo tratto interpretativo eminentemente malinconico, nostalgico e struggente si manifestava già nella sinfonia iniziale. Altro tratto significativo della direzione di Lanzillotta è stato l'assecondare, con la collaborazione attenta di tutta l'efficiente ed efficace orchestra del Teatro Massimo di Palermo, l'esibizione dei cantanti, mai sovrastati o gravati da sonorità eccessive o invadenti. Del coro, preparato dal maestro Ciro Visco, possiamo dire ben poco dato che i suoi componenti cantavano tutti con mascherine e visiere, pertanto sia sonorità che dizione non arrivavano mai in modo chiaro e nitido alle nostre orecchie. Basterà dire che tali scriteriate, irragionevoli e stupide pseudo-regole dettate da autorità non meno dissennate, non riguardavano al contrario i solisti, attraverso i quali, sembrerebbe affermare l'attuale scienza, l'epidemia non sarebbe in grado di propagarsi.
Il soprano Roberta Mantegna ha fornito al personaggio di Imogene tutta la sua calda mestizia e afflizione, sia da un punto di vista vocale che drammaturgico. Inoltre la brava artista ha messo in campo dei filati magnifici, mezze voci suadenti, un fraseggio accurato e rifinito, oltre ad una tersa luminosità nelle zone acute, queste ultime sempre incisive e penetranti.
Il tenore Celso Abelo (Gualtiero) riusciva con buona professionalità a esplicitare il nobile e non certo facile fraseggio tipico della creatività belliniana, esibendo una vellutata morbidezza vocale, salda tecnica vocale e sicura potenza. Una più attenta e circospetta attenzione nella presa di voce e nella copertura degli acuti renderebbe sicuramente le sue interpretazioni molto più luminose.
Il baritono Vittorio Prato (Ernesto) ha esibito una dizione trasparente e pulita assieme ad un colore ed una timbratura vocale bronzea e nello stesso tempo curata e cesellata. La tipicità fonica della sua voce lo colloca sicuramente fra il baritono lirico-cantabile e il baritono lirico-drammatico, ruoli nei quali a nostro avviso emerge in modo pieno e distintivo.
Il mezzosoprano Natalia Gavrillan (Adele) ha svolto egregiamente la parte del personaggio della damigella di Imogene, sfoggiando una vocalità calda e avvolgente. Altrettanto efficaci e adeguati nelle loro interpretazioni sono stati il basso Giovanni Battista Parodi (Goffredo) e il tenore Motoharu Takei (Itulbo). Da segnalare infine l'interessante saggio storico di Angela Fodale dal titolo Il Pirata: l'esule sulle coste siciliane e a Milano contenuto nel libretto di sala, che ricostruisce la storia della creazione e della messa in scena dell'opera di Vincenzo Bellini dal suo debutto ai nostri giorni. Applausi vibranti e calorosi del numeroso pubblico intervenuto alla serata.
Giovanni Pasqualino
18/10/2021
Le foto del servizio sono di Rosellina Garbo.
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