Benvenuti all'inferno
Parlare del fenomeno migratorio dai seggi della politica è ben altra cosa che vederlo nella sua quotidianità: esaminarlo in maniera astratta è ridurlo a numeri, a statistiche, a bisticci con l'Europa e ai disagi che esso inevitabilmente provoca nella vita di una nazione. Fermo restando che i disagi esistono, che le responsabilità dell'Europa, dovute principalmente al suo disinteresse e alla faciloneria tutta politica con cui certi problemi vengono affrontati, sono innegabili, è però altrettanto vero che dietro le polemiche, gli appelli alla difesa del territorio nazionale e delle tradizioni culturali autoctone, dietro le diatribe sui centri di accoglienza e sulle eventuali connivenze, mafiose e non, ci sono comunque esseri umani che, oggi come mille anni fa, fuggono dalla guerra, dalla fame e dalla miseria in cerca non tanto di un mondo migliore, che a ben vedere non esiste, ma di una diversa opportunità di vita. Come le grandi migrazioni del passato (perché di migrazione è giusto parlare e non di emigrazione), che oggi come ieri hanno messo in crisi e in ginocchio intere nazioni e imperi, stravolgendoli e frammentandoli, costringendoli insomma a rimettere in discussione se stessi, anche quelle odierne contengono al loro interno storie individuali paradigmatiche, atte a far capire a chi lo voglia che dietro ogni essere umano in miseria e allo stremo ci sono miriadi di parassiti pronti a sfruttarne il dolore e la speranza per spillare denaro o per appagare i propri istinti più biechi. E poco importa che si tratti di musulmani, buddisti, cattolici o cristiani: ovunque e sempre, la religione è, è stata e sarà solo un comodo orpello del quale servirsi per dominare gli altri e piegarli sempre e comunque a giochi di potere o a interessi che poco o nulla hanno a spartire con la spiritualità o con una supposta salvezza dell'anima.
E sulla migrazione verso la salvezza reale è incentrato il bel lavoro di Stefano Massini andato in scena allo Stabile di Catania dal 10 al 15 aprile 2018, prodotto dal Teatro Stabile dell'Umbria e da Officine della Cultura, e interpretato da Ottavia Piccolo. Occident Express, questo il titolo della pièce, dichiara sin dal titolo e dal sottotitolo Haifa è nata per star ferma, il suo principale intento, che è quello di ricondurre la storia vera di Haifa, un'anziana donna messasi in fuga da Mosul con la nipotina di quattro anni lungo la cosiddetta “rotta balcanica”, alle tante storie di fuga dall'inferno attraverso inferni diversi, alla ricerca non di un paradiso, ma di un ritorno (nel senso del nostos omerico) non tanto ad Itaca o alla patria natale, ma a una dimensione che possa dirsi autenticamente umana.
Haifa, donna musulmana interpretata da una strepitosa Ottavia Piccolo, che ha retto senza un attimo di cedimento il lungo spettacolo avvincendo col sapiente uso della voce e della gestualità gli spettatori, orgogliosamente senza velo, compie un viaggio di migliaia e migliaia di chilometri, incontrando lungo il suo cammino compagni di fuga che a lei si uniranno e con i quali costituirà una piccola comunità, ma imbattendosi anche in quella terribile zona grigia fatta di individui senza scrupoli che campano sulle disgrazie altrui, trafficanti di uomini che, proprio come i governi, vedono in questi poveri disgraziati nient'altro che pezzi di carne da sfruttare e ai quali spillare denaro.
Il racconto, amaro e terribilmente vero, si snoda con la lentezza di un canto omerico, dove Haifa, il cantore, è al tempo stesso protagonista e specchio riflettente di tutta una umanità, impersonata volta a volta nei singoli personaggi dagli strumenti dell'Orchestra Multietnica di Arezzo, che con le musiche composte e dirette da Enrico Fink punteggiano la narrazione della donna, dolorosa, talvolta ieratica, colma sempre di uno stupore allucinato dinanzi all'inferno che il viaggio ha aperto ai suoi occhi. E del resto già il titolo Occident Express recupera un'ulteriore valenza simbolica: lungo viaggio verso l'Occidente, evocante il tramonto opposto all'alba dell'oriente, dunque un viaggio verso le tenebre, ma anche Occident Express come opposto del fastoso viaggio sul mitico Orient Express, il treno di lusso riservato ai ricchissimi viaggiatori per i quali la vita era solo una lunga permanenza in paradiso.
Giuliana Cutore
16/4/2018
La foto del servizio è di Botticelli 2017.
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