RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La prima volta di Alcina all'Opera di Roma

Alcina, estremo capolavoro operistico di Händel prima che la forma oratoriale dettata dall'ambiente anglosassone prendesse il sopravvento sulla sua ispirazione, non era mai stata rappresentata al Teatro dell'Opera di Roma. La tradizionale e inspiegabile idiosincrasia delle istituzioni liriche italiche nei confronti del repertorio barocco, scalfita in anni recenti ma non definitivamente superata, è ancora distante da quel riscatto completo che è già realtà nella maggior parte dell'Europa. Non possiamo dunque che plaudere alla decisione di portare in scena questo magnifico titolo, che segue il Giulio Cesare di due anni or sono.

La direzione, oggi come allora, è affidata a Rinaldo Alessandrini, ed è davvero un gran bel sentire. Il direttore, da specialista quale è, ha saputo trarre il massimo dall'orchestra del teatro, per l'occasione a ranghi ridotti, che non ha certo un rapporto idiomatico con queste sonorità. L'esecuzione è fluida, scattante nei momenti concitati, colma di pathos nelle grandi arcate liriche, come nell'aria di Alcina “Ah, mio cor! Schernito sei!”, dove la maga lamenta le proprie pene d'amore. Tutto è nitido, trasparente ma non algido, in perfetto equilibrio con il palcoscenico. Se la riscoperta del repertorio antico in lingua italiana è in gran parte merito di complessi nordeuropei e germanici, che negli anni Sessanta e Settanta del Novecento si prodigarono ampiamente in questa direzione, oggi è un piacere ascoltare un cast composto in massima parte da cantanti provenienti dalla penisola, non per futile campanilismo, ma per questioni legate alla dizione. Mariangela Sicilia è un'Alcina prodigiosa, in grado di governare la voce dal piano al forte con un controllo perfetto dell'emissione, sostenendo il fraseggio con fiati miracolosi. Dal punto di vista interpretativo, rende in maniera egregia il progressivo mutarsi della creatura fantastica in una donna capace di sentimenti autentici. Le sta accanto il Ruggiero altrettanto ben cantato di Carlo Vistoli. La voce è affascinante e omogenea in tutti i registri, la maniera di porgere sempre attenta all'espressione, il virtuosismo mai fine a se stesso. Caterina Piva è Bradamante, promessa sposa di Ruggiero ma in scena nei panni maschili del fratello Ricciardo; il timbro caldo la rende perfettamente credibile nel ruolo en travesti, anche se le colorature non sono sempre dipanate con sufficiente scioltezza. Buona nel complesso la Morgana di Mary Bevan, con alcune asprezze nell'acuto. Eccellente Silvia Frigato, un Oberto dalla voce agile e limpida. Apprezzabili infine le voci maschili, dall'Oronte di Anthony Gregory al Melisso di Francesco Salvadori. Impeccabile, come di consueto, il coro.

Il teatro di Händel non necessita di eccessivi orpelli, e di questo Pierre Audi è perfettamente consapevole. Pur incastonato in una cornice totalmente barocca, con le quinte progressive a delineare le prospettive, le siepi che definiscono il giardino incantato e le nubi pronte ad apparire minacciose, il regista originario del Libano e naturalizzato francese abdica totalmente ai macchinismi tipici dell'epoca. Lo spettacolo, esteticamente molto bello (le scene e i costumi settecenteschi sono di Patrick Kinmonth), è impaginato con una semplicità estrema, persino eccessiva nel primo atto, dove i personaggi stentano a prendere corpo e la narrazione non è declinata con sufficiente chiarezza. La temperatura cresce negli atti successivi. Nel finale secondo basta una sedia vuota per definire l'assenza dell'amato e il tormento che divora Alcina. L'incantatrice appare smarrita, priva dei propri poteri in quanto preda delle umane passioni. Figure velate le si agitano intorno, sfuggono ai suoi gesti stregoneschi instillando il dubbio nella sua anima piagata. Con mezzi di estrema semplicità, Audi fornisce sostanza drammatica a una delle scene più belle dell'intera storia del teatro musicale. Come non pensare alle prospettive shakespeariane, alla simbologia dell'isola, microcosmo che in realtà addita l'universo intero. Se Prospero nella Tempesta rinuncia volutamente alle proprie arti magiche, Alcina si smarrisce di fronte alla fallibilità dei propri poteri. In entrambi i casi i personaggi ritornano all'umano, con esiti totalmente diversi. Prospero, in realtà Shakespeare stesso, smette i panni del drammaturgo nel suo inesauribile baule, mentre Alcina svanisce con i suoi incantamenti, così come Händel si rivolgerà di lì a breve a nuove esperienze musicali. Il riferimento all'epoca elisabettiana è ben rappresentato da Audi, il quale nel finale mostra casse e attrezzi scenici a svelare l'illusione, il magico potere del teatro. Sala quasi esaurita in occasione della seconda recita domenicale, in scena il ventitré marzo scorso, e accoglienza entusiastica da parte del pubblico presente.

Riccardo Cenci

26/3/2025

La foto del servizio è di Fabrizio Sansoni.