RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Hänsel und Gretel

alla Scala di Milano

Dopo quasi sessant'anni dall'ultima rappresentazione la celeberrima opera Hänsel und Gretel di Engelbert Humperdink torna al Teatro alla Scala, allestita nell'odierna stagione all'interno del Progetto Accademia. Titolo molto rappresentato, anche in Italia spesso in lingua locale, fino alla fine degli anni '60 del secolo scorso, per una strana casualità è poi scomparso dai cartelloni dei nostri teatri. Eppure basta solo scorgere la cronologia scaligera per rendersi conto di quanto popolare fosse nella prima metà del XX secolo, attirando l'attenzione di bacchette quali Arturo Toscanini, Herbert von Karajan e di interpreti del calibro di Rosina Storchio, Concita Supervia, Giulietta Simionato, Elisabeth Schwarzkopf, Sena Jurinac, Fiorenza Cossotto, Renata Scotto.

Hänsel und Gretel è un'opera romantica in tre atti su libretto di Adelheid Wette (sorella del compositore), tratta dalla fiaba omonima dei Fratelli Grimm. Composta nel 1891 fu rappresentata per la prima volta a Weimar il 23 dicembre 1893, diretta con successo da Richard Strauss. Questa composizione dette a Humperdink la celebrità. Fino ad allora era un duttile musicista, docente e critico, che aveva collaborato con Richard Wagner a Bayreuth. Rispetto alla fiaba originale la librettista modifica molti elementi, soprattutto i più brutali. Infatti la matrigna diventa madre disperata per i ragazzi spersi nel bosco, e il padre è un capofamiglia intento al sostentamento della stessa. È presente anche una dimensione fantastica e religiosa, che si ravvisa nei personaggi del Nano Sabbiolino (non presente nella fiaba), dell'omino della rugiada e degli angeli custodi. Oltre al soggetto fiabesco, l'opera contiene un filone popolare, contraddistinto dall'utilizzo di canzoni e musica d'estrazione popolare. La ricercata trama sinfonica si associa a motivi ricorrenti e limpidi temi o a personaggi che offrono al compositore l'occasione per vari pezzi chiusi. Rilevante è costatare che il canto popolare è radicalmente teatralizzato da Humperdink, e molti brani prendono spunto dal folklore tedesco. Musicalmente l'opera si contraddistingue per una tinta cameristica con sonorità raffinate, talvolta sussurrate, anche se l'organico orchestrale è cospicuo. In ultimo, non mancano le allusioni a Wagner, che il compositore ammirava, basti pensare alla scena del bosco che ha una specie di parallelo con il mormorio della foresta (Siegfried).

Una partitura eccellente, di spirito incantevole nella semplicità della melodia, aspetti cui va sommata anche un'arte superlativa nella struttura orchestrale. Grave errore è considerare l'opera uno spartito per bambini, o infantile, tutt'altro! Anche se tratta da una fiaba, gli aspetti sociali e drammatici sono ben evidenziati.

Alla Scala abbiamo assistito a uno spettacolo che senza dubbio possiamo definire: memorabile, poetico, onirico, rifinito sotto tutte le prospettive e di una piacevolezza visiva che resterà in memoria per parecchio tempo. Autori il regista Sven-Eric Bechtolf, lo scenografo Julian Crouche e il costumista Kevin Pollard.

Lo spettacolo si apre come in un sogno, nel quale i due ragazzini sono attorniati da coetanei nella periferia di una ricca metropoli abitata di vagabondi e clochard che saranno scacciati dai bimbi. Da un cartone posto sullo spoglio palcoscenico entrano nella drammaturgia della storia i due fratellini, catapultandosi nella favola. Si passa dalla povera e spoglia casa alla magica foresta, con scene che cambiamo a vista entrando lateralmente, calano dall'alto o arrivano da fondo. L'onirica foresta tutta fiori e piante è bellissima e crea una visione fantastica di forte emozione, che è ancora più indicativa quando appare la casa della strega, una villetta stile primo Novecento, molto colorata che improvvisamente s'illumina con elettrizzanti luci. Altra scena di forte impatto è quando gli angeli si trasformano in clochard per poi volare in cielo alla fine della pantomima. Rilevante il contributo dei video, ideati da Josua Higgason, che interagiscono con lo spettacolo in maniera stupefacente e realistica. Molo belli i costumi, quali ci aspetteremmo da una favola raccontata dalla nonna. Funzionale e molto bella la regia curata da Bechtolf che non cerca strade troppo impegnative ma racconta solamente con garbo e grande senso teatrale. È immaginabile che il regista abbia attinto ai ricordi della sua infanzia per raccontare questa fiaba universale e che ci sia riuscito in maniera eccelsa. Di grande fascino il progetto luci ideato da Marco Filibeck. Uno dei migliori spettacoli realizzati dal Progetto Accademia, che è da augurarsi non finisca in cantina, ma sia ripreso nelle prossime stagioni, anche come titolo vero e proprio della stagione poiché sarà un vero piacere rivederlo.

Non meno efficace anche la parte musicale. Merito soprattutto di Marc Albrecht, direttore di grandi doti, che racconta l'opera in maniera equilibrata e incisiva, scavando in tutte le sezioni del difficile spartito e traendone tutto quanto è possibile. Alla guida dell'ottima, anzi direi sorprendente orchestra dell'Accademia (per professionalità e uniformità), il direttore sceglie una lettura sostanzialmente romantica, sempre in equilibrio perfetto tra vivacità ritmiche e delicate sonorità più intime e poetiche. Il suono è sempre pulito e cristallino, il podio non perde mai la concentrazione e il rapporto con i cantanti. Il variegato uso delle dinamiche e la loro felice realizzazione è di formidabile cromatismo, brioso nelle ballate fanciullesche, terso e aereo nei momenti fiabeschi del racconto nel bosco. Una grande lezione di stile e interpretazione, ma anche una grande conoscenza musicale che il direttore ha impresso a tutta l'orchestra, ottenendo grandi risultati in una lettura perfettamente calibrata.

Gli interpreti solisti, preparati dal soprano Eva Mei, hanno dimostrato grande professionalità e intenti più che ragguardevoli. Molto piacevole la Gretel di Sara Rossini, cantante in possesso di voce molto rifinita in ogni registro, sempre controllata nell'emissione e con una varietà d'accento rilevante. Un po' più disomogenea Dorothea Spilger, Hänsel, la cui voce dimostra ancora qualche lacuna d'intonazione e in alcuni momenti un controllo dei fiati che dovrà essere sistemato. Tuttavia l'insieme è stato accettabile e per entrambe l'interpretazione era eccellente. Paolo Ingrasciotta, Pietro, è un padre nobile nell'accento, che nell'aria d'entrata dimostra un'ottima vocalità sempre controllata e di felice emissione. Molto raffinato nel fraseggio, che denota una tecnica di livello, esprime sempre un variegato colore e mette a disposizione un'arte attoriale rifinita per un personaggio mai sopra le righe ma di grande espressione teatrale e umana.

Era la prima volta che ascoltavo il ruolo della Strega interpretato da un tenore e non posso negare che avevo qualche curiosità e perplessità, immediatamente fugate dall'esibizione di Oreste Cosimo, un cantante molto musicale e stilizzato, peculiarità alle quali va aggiunta una divertente e disinvolta interpretazione en-travesti. Efficace Ewa Tracz, Gertrud, una mamma molto caratterizzata nell'indaffarato personaggio e adeguatamente amministrata vocalmente. Molto brave Enkeleda Kamani, Nano sabbiolino, e Céline Mellon, Omino rugiadoso, che con voce bella e stilizzata interpretano i rispettivi ruoli in maniera giustamente fantasiosa. Infine, non secondaria la prova del Coro di Voci Bianche dell'Accademia della Scala, istruito da Marco De Gaspari, che ha assolto il compito con assoluta professionalità e partecipazione.

Successo pieno e convinto al termine per tutta la compagnia da parte di un teatro quasi esaurito in ogni ordine di posto. Un successo meritato e l'occasione per ascoltare un'opera che meriterebbe più diffusione nei cartelloni dei teatri italiani.

Lukas Franceschini

2/10/2017

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano-Teatro alla Scala.