RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Haydn, il creatore

La visionarietà è tipica dei grandi uomini; capolavori tanto universali nel raggio di ciò che abbracciano, da non escludere alcun aspetto dell'animo umano, suscitano qualcosa che va oltre l'ammirazione: fruendone, si prova una sensazione di straniamento, qualcosa di intraducibile a parole; intuiamo di essere di fronte a un'opera che vuole farci fare i conti con noi stessi, e molto spesso ci riesce, forzandoci a interrogarci sulle nostre priorità e sul senso delle nostre azioni e ispirandoci, al tempo stesso, un senso di timorosa reverenza verso l'autore: il Giudizio Universale di Michelangelo, la Nona di Beethoven, l'Ottava di Mahler, il Faust di Goethe, la Divina Commedia, la Recherche; e l'elenco potrebbe continuare: opere di genio totali, che non lasciano nulla o quasi d'intentato, che per la loro epoca hanno rappresentato qualcosa di mai visto prima (di visionario, appunto) e che restano oggi irripetibili per le generazioni future.

In questo elenco sarebbe doveroso includere anche Die Schöpfung (La creazione), oratorio per soli, coro e orchestra di un Haydn giunto alla maturità dei suoi massimi livelli espressivi (1798), la cui ambizione è tradurre in suoni l'omonimo episodio della Genesi. E pazienza se il testo deriva da una poco convincente mescolanza di passi biblici e arie del Paradiso perduto di John Milton, con interpolazioni e traduzioni in tedesco del barone van Swieten.

Abbiamo avuto il piacere di ascoltare Die Schöpfung lunedì 17 marzo 2014 all'auditorium Giovanni Agnelli di Torino, interpretato dall'Orchestre des Champs Élysées guidata dal suo direttore principale (nonché direttore artistico) Philippe Herreweghe, fondatore anche, nel 1970, del Collegium Vocale Gent, il coro che ha preso parte all'esecuzione. Completano il cast vocale il soprano Christina Landshamer (Gabriel, Eva), il tenore Maximilian Schmitt (Uriel) e il basso Rudolf Rosen (Raphael, Adamo).

Philippe Herreweghe

Si percepisce il calibro di quest'esecuzione fin dall'inizio, da quell'introduzione strumentale (n°1) che intende rendere il passaggio dal nulla all'essere, dal caos all'universo, fino al dispiegarsi della luce, all'affermazione definitiva sulle tenebre; davvero ben resa, poi, la nascita del Sole (n°13): musica che pulsa, musica viva, che dalla debolezza tremolante di un barbaglio passa all'abbacinante splendore di una stella in una manciata di secondi, sufficiente tuttavia per letteralmente commuovere il pubblico (o per lo meno lo scrivente). Notiamo anche l'interessante colore orchestrale, rispondente in questo caso più che in altri al suono che verosimilmente può aver concepito l'autore stesso, per il numero di strumenti impiegati – notevole, ma non esagerato – e perché reso su strumenti d'epoca: il controfagotto, per esempio (si tenga presente che l'organico richiesto da Haydn per questa composizione, considerati gli standard dell'epoca, è davvero imponente, comprendendo anche, oltre ad un'orchestra con archi, legni a due, trombe, e timpani, e al già citato controfagotto, un terzo flauto supplementare e tre tromboni: un'orchestra tardoclassica che strizza già l'occhio alla sonorità romantica), è stato reso innestando una “aletta” supplementare sul fagotto tradizionale, per aumentare la lunghezza del canneggio: un accorgimento molto più pratico, per l'epoca, rispetto al dover trasportare uno strumento aggiuntivo ingombrante come un controfagotto.

Il coro si presenta costantemente teso ad una resa fonica eccellente, benché tuttavia si mostri carente in certi punti dell'opportuna scansione sillabica. Si tratta tuttavia di un peccato veniale, se intendiamo il coro come uno strumento musicale a più voci; e sebbene i frequenti interventi polifonici non agevolino la conduzione indipendente delle parti, pure, nei fugati, era possibile distinguere la sovrapposizione dei diversi piani sonori.

Esclusive note di merito al terzetto di voci chiamate a descrivere e commentare i diversi passaggi della creazione, dando voce di volta in volta agli angeli Uriele, Gabriele e Raffaele, oppure ad Adamo ed Eva. Christina Landshamer è soprano perfettamente a suo agio nelle colorature, che le permettono di giocare senza problemi con la voce; Maximilian Schmitt, nonostante qualche raro calo di tensione qua e là, si disimpegna bene; notevolissimo per volume di voce e portata drammatica Rudolf Rosen, basso-baritono impeccabile che riascolteremmo volentieri in qualche ruolo operistico ottocentesco.

In una visione non darwinistica del mondo, senza dubbio anche la creazione da parte di Dio è una di quelle opere di genio irripetibili cui si accennava sopra, anzi, l'Opera per antonomasia, dalla quale sono scaturite tutte le altre; ma è singolare notare come Haydn interrompa la composizione all'arrivo dell'uomo, come se, al suo apparire, la meraviglia smettesse di esistere, e trovando la sua forma compiuta, trovasse anche l'inizio della sua decadenza – come un pittore che, per eccesso di zelo, rovini con l'ultima pennellata, anche se apparentemente in modo impercettibile, un quadro perfetto. A pensarci bene, la creazione è l'unico momento della Bibbia in cui non esistano conflitti, fino all'arrivo di Adamo ed Eva…

Christian Speranza

15/5/2014

Le foto del servizio sono di Pasquale Juzzolino.