Barcellona
Ritorna il capolavoro di Offenbach
I racconti di Hoffmann ricomparivano con numerose recite e buon'affluenza di pubblico sempre nell'allestimento visto anni fa per la regia di Laurent Pelly, che è sempre uno dei meno riusciti del brillante direttore: troppo cupo benché con un buon lavoro sui personaggi. Personalmente mi mancano sempre i vecchi recitativi e i frammenti lasciati da parte senza cerimonie della versione Choudens, che oggi permettono a bassi ‘puri' di cantare i quattro diavoli che altrimenti non sarebbe possibile. Certo, Stella, e soprattutto, Nicklause e la Musa ci guadagnano molto, e probabilmente ci troveremo più prossimi allo stato dell‘opera al momento della morte dell'autore, ma così, per esempio, l'atto di Giulietta risulta parecchio debole da tutti i punti di vista ed è un anticlimax totale con l'atto precedente (quello di Antonia). Per di più, per ragioni di coprifuoco, si doveva fare a meno anche dei sensazionali couplets di Franz dell'atto di Antonia. Ma con qualche sostituzione inevitabile le recite finora sono state tutte rispettate e la gente ne usciva soddisfatta. Forse gli applausi hanno ceduto in forza e durata ma si capisce. Purtroppo sì sono tornati i cellulari, i maleducati che arrivano tardi o se ne vanno sbattendo le porte, e quelli che amano parlare sopra la musica. Perfino qualche tosse malefica…
Guidava l'orchestra del Teatro Riccardo Frizza e la compagine suonava bene ma piuttosto stile grande opera romantica italiana e in più di un momento suonava pesante e il volume non teneva conto delle voci sul palcoscenico. Molto bene il coro istruito da Conxita García magari senza le sfumature di anni fa.
Tra le signore spiccava Marina Viotti, che tranne un paio di recite vestiva sempre i panni della Musa e di Nicklause, e lo faceva in modo stupendo. Olga Pudova è stata anch'essa quasi sempre la bambola, e la sua Olympia brillava per voce e movimenti, come quando (con aiuto di una gru) letteralmente volava in mezzo ai vocalizzi più indiavolati. Nino Surguladze e Ginger Costa-Jackson erano le due Giulietta, in quest'occasione quasi più richiesta come attrice che come cantante, e se la cavavano con onore.
Adriana Gutiérrez ed Elena Sancho Péreg facevano per tirare tutto il partito possibile dalla breve ma importante parte di Stella nell'ultimo quadro, atto o epilogo che dir si voglia.
Ermonela Jaho è stata per tutte le recite Antonia, che sebbene non abbia che un atto, ha la parte vocale femminile più compromessa ed emozionalmente più dura. Si è data tutta al personaggio e con alcuni ottimi pianissimi. Purtroppo la voce resta quel che è, metallica e stridula e per momenti con un molesto vibrato. Del trillo finale non se ne parla perchè non c'è stato. Laura Vila era una corretta voce della madre nel grande terzetto.
Ma il grande artista su cui si è costruita questa produzione era ovviamente il protagonista di John Osborn, assolutamente impregnato del difficile ruolo e ancora più adatto che la prima volta che l'ho sentito a Parigi (salle Pleyel) diretto da Minkowski. Arturo Chacón-Cruz, senza sfumature e cantando sempre forte tratteggiava un Hoffmann diverso, quasi godereccio e simpaticone, non l'ideale ma non male.
I quattro diavoli erano due artisti diversi e validi ognuno a suo modo, Alexandre Vinogradov e Roberto Tagliavini, che, essendo entrambi bassi, vocalmente non hanno avuto problemi (tranne qualche acuto nel terzettone con Antonia e la voce): più sinistro e incisivo il primo, più ironico e più attento alla linea e alla bellezza del timbro il secondo, come corrisponde alla tradizione delle rispettive scuole di canto. Ancora merita una parola lo Spalanzani di Francisco Vas. Gli altri, tra il corretto e il discreto.
Jorge Binaghi
9/2/2021
La foto del servizio è di Antonio Bofill.