La commedia e la fiaba
Il matrimonio segreto a Innsbruck
Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa è l'unica opera italiana del XVIII secolo ad aver goduto di fama ininterrotta, restando costantemente in repertorio sino ai nostri giorni. Un titolo sovente vittima di dolorosi tagli, dei cliché e degli stereotipi imposti dalla tradizione più usurata. Per questo Alessandro De Marchi ha voluto riproporla in veste integrale per il quarantennale del Festival di Innsbruck, del quale è direttore artistico. La cifra stilistica di Cimarosa risalta in tutta la sua brillante peculiarità, frutto di una particolare alchimia fra la comicità più esilarante e il pathos sentimentale di derivazione picciniana. Il matrimonio segreto offre poco spazio alle esaltazioni solistiche, ma vive nella maestria dei pezzi d'insieme e nella incessante invenzione melodica di un autore ormai uso a una pratica teatrale dal respiro europeo. Tutto è calibrato in maniera perfetta, in un meccanismo dagli ingranaggi finissimi. L'opera nasce per il Burgtheater di Vienna e per il gusto raffinato dell'imperatore Leopoldo II. Il libretto di Giovanni Bertati, poeta di corte formato alla scuola veneziana, attinge all'immaginario corrosivo di Hogarth, autore del ciclo Le mariage à la mode, ampiamente diffuso sotto forma di incisioni. Un punto di partenza imprescindibile per la commedia The clandestine marriage di George Colman e David Garrick, andata in scena a Londra nel 1766. Nel testo di Bertati tutto inizia in medias res. Carolina, la figlia di un ricco mercante, e Paolino, un ragazzo di scarsi mezzi finanziari, hanno già contratto matrimonio contro ogni convenzione sociale. L'ignaro Geronimo ha già in mente nozze aristocratiche per le due figlie, in modo da accostare al prestigio del denaro quello del titolo nobiliare. Rispetto ai riferimenti iconografici e drammaturgici citati, l'opera ha una trama lineare e semplificata, spunto per il dipanarsi della commedia buffa e delle situazioni comiche ad essa legate.
Il parallelo con le mozartiane Nozze di Figaro proposto sovente dalla letteratura critica, pur con tutte le differenze di valore, si rivela vacuo a uno studio approfondito. Nel testo di Da Ponte si scorge una ambizione utopica assente dagli orizzonti di Cimarosa. Nel Matrimonio segreto la satira sociale appare molto meno scomoda e bruciante. Gli affetti prevalgono sull'interesse economico, ma si tratta di un trionfo limitato a un caso specifico, privo di quelle aspirazioni universali presenti nel capolavoro di Mozart. Cimarosa è ancora legato alla grande tradizione dell'opera buffa e dei suoi personaggi. Casomai sorprendono le numerose prefigurazioni rossiniane, le immersioni in un mondo ancora di là da venire. Nessuno può infatti negare che il carattere di Geronimo, borghese con il pallino per la nobiltà, rimandi al futuro Don Magnifico della Cenerentola, così come le inflessioni forzatamente aristocratiche del conte Robinson si avvicinino alle esagerate buffonerie di Dandini. La notturna fuga conclusiva dei due giovani sposi infine non può non richiamare, nella mente di ogni melomane, il finale del Barbiere di Siviglia.
Gustoso lo spettacolo andato in scena a Innsbruck. Il regista Renaud Doucet e lo scenografo André Barbe sembrano voler forzare il parallelismo mozartiano, trasferendo la vicenda borghese in atmosfere favolistiche, condite da un inedito sapore agreste, che rimandano vagamente allo Zauberflöte. L'azione si svolge infatti in una sorta di pollaio, ingombro di oggetti enormi fra i quali i personaggi si muovono come se fossero all'interno di una fiaba. Il gioco si rivela spassoso. I cantanti mimano mosse da pennuti, come nel famoso duetto fra Papageno e Papagena, arrivando a volte a intonare versi dal carattere non propriamente lirico. Il tutto forse non rientra esattamente nell'ottica filologica adottata da De Marchi, ma è comunque proposto con senso della misura, senza travalicare quasi mai i confini del buon gusto. Ne risulta un allestimento sempre vivo, divertente e ricco di senso del teatro. Strani servitori abbigliati come enormi insetti animano la scena, compiendo acrobazie che sembrano voler sottolineare il carattere ardito e periglioso dell'intreccio. I costumi coloratissimi spiccano sullo scenario in bianco e nero, schizzato da leggeri tocchi di china che richiamano un'ottica fumettistica.
La direzione di De Marchi intesse eleganti preziosismi, ma è nel contempo sorretta da una fantasia e da una verve ammirevoli. L'intento filologico non cristallizza l'azione in scenette deliziose e inerti, prigioniere di fissità da porcellana, ma innerva la vicenda di una incessante tensione. Il sentimentale non viene sacrificato sull'altare della comicità, ma risalta con dovizia di sfumature e calore spiccatamente umano. L'Orchestra Academia Montis Regalis ammanta il tessuto sonoro di una accattivante luminosità, seguendo perfettamente le indicazioni del suo direttore.
Riguardo il cast, Giulia Semenzato è una Carolina eccellente, capace di abbandoni lirici toccanti. Assolutamente irresistibile e perfettamente affiatata la coppia dei buffi, Donato di Stefano (Geronimo) e Renato Girolami (conte Robinson), addirittura esilarante nel duetto iniziale del secondo atto. Loriana Castellano sostituisce degnamente la più nota Vesselina Kasarova nel ruolo di Fidalma. Abile nel canto di agilità Klara Ek (Elisetta), ancorché un poco fredda nell'espressione. Unica nota dolente il Paolino di Jesús Álvarez, tecnicamente inadeguato e incapace di fraseggiare con sufficiente scioltezza.
Il pubblico austriaco dimostra di apprezzare, lasciandosi andare a risate e applausi a scena aperta.
Riccardo Cenci
20/8/2016
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