Modernità del Tito mozartiano
Frutto dell'estrema creatività mozartiana, La clemenza di Tito elude ogni tentativo esegetico. Il suo porsi dopo la trilogia dapontiana la rende un oggetto la cui preziosità è direttamente proporzionale ai suoi elementi anacronistici. Il recupero di forme operistiche vetuste e logore non si può spiegare esclusivamente con l'occasione della committenza istituzionale. Prossimo alla fine, Mozart si muove in atmosfere autunnali, segnate dal presentimento della morte. “I personaggi della Clemenza sono evocazioni di morti, scrive Paolo Isotta . Al genio del salisburghese il prodigio riesce perfettamente. Il gelo mortifero del marmo classico si veste di un rinnovato calore. L'astrazione e la stilizzazione, cifre dell'opera, additano una dimensione trascendente e metafisica che costituisce l'essenza dell'ultimo Mozart. Lo spettacolo costruito da Robert Carsen per il festival salisburghese di Pasqua, ora ripreso in estate, avvolge la vicenda in un cupo pessimismo. Durante l'incendio del Campidoglio, alla fine del primo atto, proiezioni mostrano l'assalto a Capitole Hill da parte dei seguaci di Trump, a indicare che la democrazia non è mai un valore acquisito. A conclusione dell'opera il perdono apre la strada a rinnovate congiure. Il regista mostra l'assassinio di Tito, vittima di un nuovo complotto provocato dalla sua debolezza. In un'epoca storica dominata dall'ombra della tirannide opposta agli aneliti libertari, non è peregrino tornare a meditare sul Tito. L'ambientazione minimale e contemporanea, evocativa delle istituzioni politiche italiche, focalizza l'attenzione sulla psicologia dei personaggi, sull'ordito di intrighi che avvolge l'imperatore. In realtà la clemenza, che a una mente smaliziata può apparire ingenua, addita gli ideali di umanità che caratterizzano il coevo Zauberflöte. La lettura registica svuota l'opera dei suoi valori utopistici, per immergerla nella più cruda realtà. Carsen guida l'azione con la consueta maestria, confezionando uno spettacolo moderno e foriero di interrogativi profondamente attuali, fluido nei suoi valori drammaturgici.
Fluidità che si ritrova anche nell'orchestra, Les Musiciens du Prince, ai quali Gianluca Capuano infonde inusitata energia. La modernità della visione registica si esplica strumentalmente in un'esecuzione al calor bianco, estremamente varia nelle articolazioni, virtuosistica nelle esternazioni baroccheggianti e screziata da improvvisi luminismi negli slanci dal sapore pre-romantico. La partitura emerge in tutta la sua vivezza, tutt'altro che un oggetto museale. Nel cast spicca Cecilia Bartoli, la quale rende in maniera magistrale i conflitti che lacerano l'anima di Sesto, divisa fra la devozione amicale verso l'imperatore e la bruciante passione per Vitellia. L'aria “Deh per questo istante solo” è un capolavoro di emotività grazie a un fraseggio di aurea perfezione. Vertici di intensità espressiva si spengono in pianissimi che hanno del prodigioso. Ottimo Daniel Behle, un Tito vocalmente smagliante, variegato negli accenti e perfettamente nel ruolo, particolarmente rifinito nei recitativi accompagnati. Anna Tetruashvili (Annio) coglie un vero e proprio successo personale grazie a un timbro accattivante, sostenuto da pregevoli doti tecniche. Alexandra Marcellier è una Vitellia spietata e dai buoni mezzi vocali, appena un poco offuscata nel registro grave. Mélissa Petit fa di Servilia una donna moderna, sicura e appassionata. Ildebrando D‘Arcangelo, infine, dona inusitato rilievo al personaggio di Publio. Spettacolo impeccabile, per la simbiosi totale fra la parte scenica e quella musicale, per la sua capacità di far riflettere sui drammi del nostro tempo.
Riccardo Cenci
8/8/2024
La foto del servizio è di Marco Borrelli.
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