S. Cecilia inaugura la stagione sinfonica:
trionfo per Kissin e Pappano
È una natura possente, meravigliosa e perigliosa al tempo stesso quella che Richard Strauss delinea in Eine Alpensinfonie, un percorso colmo di attrattive ma anche gravido di minacce. Come in un racconto di Adalbert Stifter, la tempesta prorompe improvvisa e sorprende il viandante intento a scalare la montagna, come in un quadro di Caspar David Friedrich la bianchezza abbacinante del ghiacciaio squarcia il silenzio, mentre l'uomo osserva dalla vetta l'inquietante vastità del paesaggio montano. Con questa opera colossale l'Accademia di S. Cecilia ha voluto ricordare i centocinquanta anni dalla nascita del compositore tedesco, nel giorno inaugurale della stagione sinfonica. Presente come di consueto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale sembra voler ribadire il ruolo irrinunciabile della cultura, sempre più a rischio nel nostro paese. Nel confezionare questa colossale partitura, Richard Strauss guarda alla categoria del sublime, inteso come grandezza che sovrasta gli uomini nel suo inattingibile splendore. Eppure l'idea originaria dell'opera rimanda al pensiero di Nietzsche, ad una vitalità primigenia priva del fardello costituito dalla morale cristiana. «Intitolerò la mia sinfonia alpina Der Antichrist», scrive in maniera esplicita l'autore, suggerendo peculiari indirizzi di lettura. In quest'ottica il discorso si complica, l'ascesa alla vetta elude il semplice livello descrittivo per caricarsi di significati simbolici, mentre il carattere ciclico della composizione addita l'eterno e immutabile rinnovarsi della natura.
Antonio Pappano asseconda in maniera esemplare i moti ascendenti e discendenti del discorso musicale, riuscendo a cogliere con evidenza stifteriana il particolare all'interno del monumentale, il microcosmo che anima la vastità del creato. La sua è una lettura che parla ai sensi, densa di colori e materia sonora. Lo coadiuva un'orchestra in gran forma negli archi, anche se non sempre particolarmente precisa negli interventi dei fiati. Apriva la serata Una notte sul Monte Calvo di Musorgskij, eseguita nella versione per voce, coro e orchestra di Vissarion Shebalin, pensata quale intermezzo per l'opera incompiuta La fiera di Sorocinski, maggiormente aderente al dettato originario rispetto alla più nota edizione di Korsakov. Esecuzione di scabra potenza alla quale gli interventi corali donano accenti di soprannaturale suggestione. Completava il programma il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninoff, opera tormentata scritta durante un periodo di profonda depressione, significativamente dedicata a Nikolai Dahl, il medico che aiutò il compositore a superare la crisi. Pappano dimostra ancora una volta grande sintonia con questo repertorio.
L'orchestra asseconda in maniera flessuosa e sensuale gli slanci melodici della scrittura, offrendo un'esecuzione di toccante appiglio emotivo, solo a tratti un poco invasiva nei confronti del solista. Eugeny Kissin sfoggia la consueta maestria tecnica, unita ad uno stile e ad una eleganza impeccabili. Pur conservando l'aspetto da enfant prodige degli esordi, il pianista russo è ormai un artista maturo, il che si traduce in una lettura pensata e misurata, sin troppo depurata dal pathos che la scrittura di Rachmaninoff inevitabilmente comporta. Il virtuosismo trascendentale di Kissin esplode nei due bis, il Preludio op. 23 n. 2 di Rachmaninoff e il Natha-valse di Cajkovskij, salutati dal pubblico con una vera e propria ovazione.
Riccardo Cenci
27/10/2014
La foto del servizio è di Riccardo Musacchi.
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