RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

L'inaugurazione di Santa Cecilia

all'insegna dell'utopia

La musica di Beethoven è sovente utopica, volta a trascendere i limiti terreni per tendere verso orizzonti dal respiro universale. È il caso della Nona, paradigma dello stile eroico e modello di riferimento per tutto il successivo sinfonismo. L'immagine di un Beethoven costantemente accigliato, progressivamente chiuso nel proprio solipsismo contrasta apparentemente con il carattere dionisiaco e profetico di questa musica. Eppure proprio dalla tensione irrisolta fra il fallimento del sogno illuminista e le grandi aspirazioni beethoveniane scaturisce un'opera dalla vitalità inesauribile, alla quale la modernità ritorna continuamente. Per questo Antonio Pappano ha voluto la Nona per l'inaugurazione della stagione dell'Accademia, per ribadire la necessità di una comunanza di intenti indirizzata verso superiori obiettivi in un momento di grave difficoltà per l'Europa. Il modello comunitario sembra infatti implodere di fronte alle sfide poste dalla crisi economica e dalle crescenti e inarrestabili pressioni migratorie. Gli egoismi nazionali paiono prevaricare le aspirazioni unitarie, riportando pericolosamente indietro le lancette del tempo. Un regresso simile a quello sperimentato dal compositore stesso nell'epoca successiva al Congresso di Vienna, ostile ad ogni ideale libertario. A questo oscurantismo Beethoven reagisce nell'unica maniera possibile per un artista, confezionando una partitura che brilla come un faro per un'umanità smarrita nei flutti della storia. Il risultato è straordinario. Nelle mani di Pappano la Nona diviene un grande organismo pulsante, curato nella dinamica e nella varietà coloristica. Il direttore aderisce in maniera viscerale alla partitura. Il suo è un Beethoven appassionato, il cui afflato comunicativo si espande nell'intero arco dell'edificio sinfonico. Il punto più alto dell'esecuzione è forse l'Adagio, toccante nella sua distesa cantabilità. Bello anche il finale, grazie alla prova maiuscola del coro e all'apporto dell'ottimo quartetto dei solisti, composto da Stuart Skelton (tenore), Michael Volle (basso), Rachel Willis-Sørensen (soprano) e Adriana Di Paola (contralto). Carattere peculiare della serata quello di inserirsi in un ciclo organico pensato da Pappano per accostare l'integrale sinfonico beethoveniano a tre nuove commissioni dell'Accademia ad altrettanti autori italiani, legate dal punto di vista del pensiero all'universo e agli ideali del genio di Bonn.

Accanto alla Nona abbiamo ascoltato allora Bread, water and salt, una costruzione sonora di stampo oratoriale per soprano, coro e orchestra edificata da Luca Francesconi a partire dalle parole di Nelson Mandela. Frammenti in lingua Xhosa, idioma natale del leader sudafricano, si alternano al testo inglese, in un'alchimia del tutto peculiare. L'attacco deriva la sua caratterizzazione proprio dalle lingua locale. Suoni consonantici precipitano nella sala come isolate gocce di pioggia, avanguardie di una successiva tempesta sinfonica, schiocchi e versi dal gusto onomatopeico si articolano in una sorta di ouverture dal ritmo sempre più serrato e incalzante. Dopo questo inizio di grande originalità il discorso musicale prosegue in maniera più consueta, fra momenti drammatici e altri pregni di commozione, non esente da echi novecenteschi (chi scrive ha colto alcuni accenti alla Britten, ma altri se ne potrebbero individuare). Quando Nelson Mandela venne liberato, dopo ventisette anni di prigionia, il suo primo pensiero fu rivolto al pane, all'acqua e al sale, beni primari che dovrebbero risultare accessibili per tutti. Parole che mostrano un'attenzione concreta verso l'uomo inteso come unità di carne e spirito. L'opera non ha un vero e proprio svolgimento narrativo, ma vuole evocare momenti salienti della vita e degli insegnamenti del leader sudafricano. Pochi uomini hanno dimostrato una coerenza e una forza d'animo pari a quella di Mandela. Francesconi sembra volerci dire che, oltre ai dittatori sanguinari, il nostro mondo ha partorito anche figure dalla statura morale incrollabile, veri esempi per un'umanità costantemente sull'orlo del baratro. «Se li avessi odiati ancora, loro mi avrebbero avuto per sempre», dice Mandela riferendosi ai propri carnefici. L'unico modo per essere veramente liberi è spezzare la catena dell'odio, una lezione che rappresenta il suo lascito più prezioso. Riguardo l'esecuzione musicale, Pumeza Matshikiza si mostra totalmente a proprio agio in una scrittura che richiede una voce di soprano particolarmente duttile, in grado di abbracciare registri espressivi molto diversi fra loro. Dal canto suo Pappano distilla le alchimie timbriche con grande sapienza, evidenziando un autentico coinvolgimento nella partitura. Grande successo di pubblico in una sala gremita di personalità della politica, dall'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Ministro dell'economia Pier Carlo Padoan, e della cultura come il compositore Giorgio Battistelli.

Riccardo Cenci

10/10/2015