Venti primavere celestiali
Fondata nel 2003, la Filarmonica Teatro Regio Torino (Filarmonica TRT) festeggia il ventennale di attività aprendo la stagione sinfonica dell'omonimo teatro con il concerto di lunedì 23 ottobre 2023. Per l'occasione Felix Mildenberger, suo Direttore Ospite Principale dalla stagione 2021-22, introduce l'evento con un breve discorso che ne ripercorre la nascita e i fasti: si tratta di un'orchestra nata su iniziativa dei professori del Regio, che vanta attualmente numerose incisioni e grande varietà di repertorio, dalla musica “colta” alle colonne sonore, al jazz e alla musica popolare, in questo dimostrando la sua grande polivalenza che la attesta come una delle compagini più rinomate a livello europeo.
Nell'ottica di questo sguardo all'indietro, la serata prende avvio con la suite dal balletto Appalachian Spring di Aaron Copland, brano incluso nella programmazione del primo concerto della Filarmonica TRT e qui riproposto con evidente intento beneaugurante: se tutto è iniziato con “quella” primavera vent'anni fa, lo si esegua di nuovo, onde propiziarne altre venti, e anche più! Giù le luci e si comincia: ed ecco scaturire le prime note, il chiarore aurorale del Molto lento che apre la suite: soltanto un arpeggio in la maggiore, eppure già evocativo di una natura ancora vergine. Non interessa più che la funzione di questo incipit fosse di introdurre i personaggi principali del balletto, una coppia di sposi che mette su casa nel deserto in Pennsylvania, un predicatore che recita un sermone e una vecchia pioniera: nell'orchestrazione del 1945, allargamento di quella originale per tredici strumenti del 1943-44, la pura veste musicale gli fa acquisire veste autonoma e permette alla fantasia di vederci quello che si vuole: anche il guizzante apparire e scomparire di uno scoiattolo in mezzo agli alberi nel passaggio all' Allegro seguente, corse silvane di cervi, uno sprouting di energie vitali nelle sezioni più movimentate, il placido scorrere di un fiume o la contemplazione di macchie di verde irradiate di Sole in quelle lente, fino a un inno di ringraziamento (di beethoveniana ascendenza? Pastorale ...) nel crescendo poco prima della conclusione, variazioni sul tema di Simple Gift di Joseph Brackett (1848), facilmente riconoscibile per essere stato usato da Sydney Carter nel canto Lord of the Dance (simile al nostro Nei cieli un grido risuonò). Da ultimo, un tiepido tramonto sui monti nella lenta coda che chiude il pezzo, «in quello spegnersi di sere azzurre», avrebbe scritto Proust.
A prescindere dall'ottima prestazione dell'Orchestra, che conferma la duttilità e la versatilità con cui tiene alto il suo vessillo, il taglio direttoriale di Mildenberger punta a una visione il più possibile incantata e sognante, smorzando le possibili asprezze, smussando gli scatti improvvisi – il summenzionato passaggio dal Molto lento all'Allegro –, immergendo l'esecuzione in un albore lattiginoso che ben si confà al tono prevalentemente lirico della suite. Anche il già ricordato crescendo viene trattato da Mildenberger con un'agogica che Copland riferisce a un'altra sezione, ma affine a questa in spirito, like a prayer, in un atteggiamento votivo, più che trionfale, anche quando la musica, nell'ultima variazione, assume i toni di una vera e propria fanfara. Le sezioni contemplative sono perciò quelle che traggono il maggior beneficio da questa direzione, dove si apprezzano le trasparenze del tessuto orchestrale, piuttosto ben evidenziate.
L'intervallo è giusto per un caffè e un'occhiata alla piccola mostra su Carlo Mollino, architetto della ricostruzione del Regio ma anche eclettico designer di arredi e di automobili, come la «bisiluro» esposta nel foyer, pensata per competizioni di velocità.
Fedele al suo nome d'origine, Filarmonica ‘900, per il peso determinante accordato alla musica del XX secolo, la TRT rimane sul repertorio novecentesco, anche se a filo con l'Ottocento, eseguendo la Quarta Sinfonia di Gustav Mahler, composta fra il 1899 e il 1901. Dopo le prime tre, fortemente sperimentali e improntate a un progressivo gigantismo, la Quarta pare alleggerire i toni, accorciando le lunghezze, riducendo l'organico e normalizzando i movimenti ai classici quattro, ma non rinuncia agli sperimentalismi: non solo per il Lied Das himmlische Leben a far da finale, tratto da Des Knaben Wunderhorn , da cui Mahler aveva attinto a piene mani sia per testi di Lieder autonomi, sia per pagine poi incluse nelle prime tre Sinfonie, quanto per la scrittura che, non ancora sottoposta ai cambiamenti del cosiddetto “secondo stile”, pure a questo già si avvicina, con anticipazioni evidenti almeno dell'Adagietto, nel vasto terzo movimento, con archi divisi e arpa a condurre le sezioni più eteree, e del primo tema della Quinta, dove le terzine di ribattuti della tromba solista emergono quasi per caso nel pieno dello sviluppo del primo movimento in quella che solo a fatica si può chiamare forma-sonata, strutturata secondo un'architettura che, apparentemente confusionaria, in realtà organizza temi e spunti tematici con innegabile maestria, qui e là innervati di contrappunto. Proprio per questo, con le sue anticipazioni della Quinta e le sue retrospezioni verso Sinfonie già scritte – bastino i passaggi “liquidi” degli archi nel secondo movimento, così somiglianti allo Scherzo della Seconda, peraltro anch'esso in 3/8, anche se più fini legami la embricano alla Terza – , la Quarta è l'anello di congiunzione fra il “primo” e il “secondo” Mahler, improntato, più che all'elefantismo orchestrale, a un più raffinato uso dei mezzi strumentali.
Rispetto alla suite di Copland, l'esame obiettivo dell'ascolto con la partitura sotto gli occhi rivela certune debolezze interpretative che fanno la differenza tra un'esecuzione di buon livello e assolutamente non disprezzabile come questa, e una eccellente. Non è soltanto questione di raffrontare in modo meccanico il segno scritto con la sua riproduzione sonora. Mildenberger guida la TRT lungo una Quarta che affascina per il fatto stesso che è la Quarta, e questo fascino svia dalle sottigliezze di bacchetta; un ascolto analitico rileva invece svariate indicazioni dinamiche trascurate che sfuggono a un ascolto sommario e che non sarebbero neanche di così grande importanza nella condotta generale del discorso melodico, condotta che in generale “tiene” ed evidenzia con sufficiente chiarezza buona parte dei piani sonori: ma di certi rinforzi al grave, di certi fortissimi ai bassi, di certi rimarchi ai fiati non c'è traccia, per non parlare di crescendo e diminuendo poco pronunciati ed entrate imitative di più voci passate sotto silenzio. Sembrano grilli da bastian contrario, bizzarrie da malmostosi; ma si deve tenere presente che nelle stesure delle sue Sinfonie il Mahler direttore era presente almeno quanto il Mahler compositore, e se scriveva certe indicazioni espressive, era per indicarle più al direttore che al compositore. È famosa la foto della copia della Quarta di Mengelberg, suo contemporaneo e amico, dove quasi ogni legatura, ogni segno di forte o piano sono evidenziati in lapis (personalmente la sua lettura e quella di Bruno Walter sono insuperabili). Anche nella sua sinfonia più “semplice” Mahler nasconde finezze espressive che sono facili a trasformarsi in insidie per il direttore, a motivo della molteplicità delle indicazioni. Per Mengelberg era più facile, avendo i consigli dell'autore a portata di mano; per Mindelberger un po' meno. Ripeto, non è una brutta direzione, e quanto all'esecuzione non si ha quasi nulla da eccepire, a parte un paio di scivoloni degli archi (inezie, in tutta la serata): anzi, si apprezza per esempio che, per evidenziare la “scordatura” del primo violino nei passaggi solistici del secondo movimento, Vadim Tsibulevsky, spalla dell'orchestra, disponga di un secondo violino appositamente accordato un tono sotto, come richiesto da Mahler (in partitura addirittura cambia l'armatura di chiave: tre bemolli per gli altri archi, poiché il pezzo è in mi bemolle, cinque per il primo violino, in re bemolle): quello che manca è l'adeguato scavo interpretativo, un lavoro di fino sui particolari.
La scelta di far entrare Christina Landshamer, soprano, a metà del terzo movimento è inconsueta; ma è anche vero che il terzo si collega al quarto quasi immediatamente, filiazione naturale dell'ultima cellula melodica di quello, che diventa l'incipit di questo nelle terzine del clarinetto, e un'interruzione netta per permetterle l'ingresso avrebbe dissolto il clima creato dal lungo adagio precedente. È qui, nell'ultimo movimento, il cuore di tutta la Sinfonia. Das himmlische Leben, La vita celestiale, venne infatti composto nel 1892 come Lied a se stante, quindi ben prima della Quarta, contraltare positivo di Das irdische Leben, La vita terrena, in cui un bambino, dopo aver ripetutamente chiesto cibo alla madre, muore di fame. Ed ecco allora schiudersi, nel Paradiso tracciato dalla Vita celestiale, uno scenario di angeli che infornano il pane e sante che cucinano, in un banchetto senza fine: albedo e nigredo della triste condizione umana. La voce di Landshamer è morbida, il timbro è fresco, piacevole, e il testo a lei affidato viene trattato con amore. Peccato però che sia come ovattato, che il suono giunga da distante, che non si rilevi con nitore oltre l'orchestra. Se questa è una scelta, di usare le mezze tinte di un canto raccolto, può essere vincente se la si vuole considerare come una voce che arrivi dallo stesso Paradiso che descrive; altrimenti, è un bilanciamento inefficace dei due piani sonori. Ma il pubblico, non numerosissimo in verità, pare gradire, e i battimani piovono, non prima che la nenia del corno inglese, quasi ninnananna, gli ultimi rintocchi dell'arpa e infine i contrabbassi in pianissimo illanguidiscano fino a scomparire nel silenzio, e non prima che si dissolva quell'attimo di silenzio estatico che vale più di mille applausi.
Christian Speranza
27/10/2023
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