L'inganno felice
al Rossini Opera Festival
Il terzo titolo del Rof è come di consueto una farsa, una delle cinque che Rossini compose per Venezia nei primi anni di carriera quale compositore. L'inganno felice è il titolo scelto per questa estate pesarese in un allestimento che debuttò al Rof nel 1994 curato da Graham Vick.
Le farse rossiniane sono dei piccoli gioielli musicali dal sapore notevolmente gradevole, nelle quali si trovano personaggi, poco meno di mezza dozzina, scolpiti nella loro drammaturgia, sempre a lieto fine, ai quali nell'arco di circa novanta minuti è loro data possibilità di emergere in un canto variegato e sovente non privo di difficoltà. A differenza delle altre, L'inganno felice è la meno “farsa”, uscendo dal clichè del comico o buffo, rasentando un dramma vero e proprio ovviamente con lieto fine. Anche i personaggi assumono una veste differente, il tipico buffo rossiniano qui trova uno spazio più umano, e assume a pieno titolo un ruolo che dal compositore sarà sviluppato con maggior impegno e profondità in lavori successivi. Probabilmente l'intenzione era di creare sulla struttura delle farse un'opera con una maggiore drammaticità rasentando il dramma serio a lieto fine. Richiami a personaggi buoni e cattivi sono evidenti ma in forma meno strutturata, anche per la brevità del testo.
Il Rof ha centrato appieno il proprio allestimento con la regia di Vick, il quale contrariamente a quanto si crede, non sempre è registra rivoluzionario, in questo caso è molto tradizionale e lo spettacolo è tra i più belli di questo tipo visti non solo a Pesaro. Una scena fissa che delimita una sorta d'isola sabbiosa con miniera semi-dismessa, una tenda costruita al momento sul lato destro e qualche pianta. Attorno ad uno spazio infinito di mare. Pare poco, realizzato da Richard Hudson con somma mano disegnatrice, ma con l'aggiunta di luci molto ben focalizzate (di Matthew Richardson) e dei meravigliosi costumi sempre di Hudson la visione è assolutamente perfetta, e non denota minimamente la sua ventennale anzianità. A tutto questo bisogna aggiungere la grande mano di Vick che crea una lettura agile, elegante con raffinata intelligenza, tale da rendere gratificato lo spettatore e appagato il gusto interpretativo.
L'Orchestra Sinfonica Rossini, utilizzata sempre negli ultimi tempi per il terzo titolo in cartellone, è emersa professionalmente per precisione e accurato suono, l'esperienza al Festival ha portato i suoi frutti. Tale risultato è dovuto soprattutto alla giovane bacchetta di Denis Vlasenko, direttore a me finora sconosciuto, ma preciso nei tempi, nello stile e capace di una lettura sia brillante sia poetica di ottima finitura. Speriamo di ascoltarlo ancora.
Il cast era abbastanza omogeneo e professionale, tuttavia s'imponevano Davide Luciano e Carlo Lepore. Il primo con voce bella e tipicamente baritonale trovava nel ruolo di Batone un fertile terreno per sfoggiare fraseggio di livello, una musicalità raffinata e un canto sempre controllato e ben amministrato tecnicamente. Il secondo pur con mezzi inferiori riusciva ad essere convincente quale Tarabotto per una sensibilità d'interprete e un fraseggio di grande mestiere.
Mariangela Sicilia pur nella corretta precisione del canto, mancava di vivacità e piglio interpretativo, superando senza drammi i suoi compiti ma pur sempre rasentando la modestia per mancanza di personalità musicale. Accettabile il Bertando di Vassilis Kavayas ma l'esile voce non trova una rotondità interpretativa ed è spesso nasale. Meglio l'Ormondo di Giulio Mastrototaro, il quale era leggermente ruvido in alcuni passi ma professionale nel complesso ed efficace nel ruolo.
Successo entusiastico al termine.
Lukas Franceschini
25/8/2015
La foto del servizio è di Studio Amati Bacciardi.
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