Intervista al musicologo
Riccardo Viagrande
Di formazione poliedrica, il musicologo Riccardo Viagrande, nato a Catania nel 1976, è compositore, pianista, direttore d'orchestra e insegnante di lettere nei Licei; presso l'Università di Catania ha svolto l'attività relativa al Dottorato di Ricerca in Italianistica (Lessicografia e Semantica del linguaggio letterario europeo), conseguendo il titolo di Dottore di Ricerca con la dissertazione “Un caduto cherubo”. Arrigo Boito poeta e librettista , successivamente alla Laurea in Lettere moderne col massimo dei voti e la lode nello stesso ateneo. Ha conseguito brillantemente i Diplomi Accademici di Secondo Livello sempre in Composizione e in Direzione d'orchestra Fiati e si è perfezionato in direzione d'orchestra con Dominique Rouits, docente di Direzione d'orchestra presso l'École Normale de Musique di Parigi, e con il Maestro Isaac Karabatchevsky. Autore di molteplici testi editi dalla casa musicale Eco, si è intrattenuto volentieri a parlarne.
Professore Viagrande, Lei ha prodotto in questi anni numerose pubblicazioni, sia a carattere monografico, sia incentrate su varie tematiche, dal rapporto tra musica e poesia alle forme della musica sacra, sino al concerto, nel suo excursus dalle origini al Novecento. Quanto la musica ha interagito in passato con la poesia e in che misura entrambe queste forme d'arte, che Lei definisce sorelle, interagiscono a tutt'oggi ?
La poesia e la musica costituiscono i miei principali interessi, dal momento che, oltre a essere un musicista, amo molto la letteratura. Fare una sintesi di come, nella storia della nostra cultura, queste forme d'arte abbiano interagito non è affatto semplice. Ho definito musica e poesia arti sorelle perché entrambe, sin dall'antichità classica che sta alla base della nostra cultura occidentale, si fondano sul ritmo, come in un certo qual modo aveva affermato Aristotele nel Proemio dell' Ars poetica.
È comunque risaputo che i piedi, su cui si basava la metrica greca e latina, costituivano ritmicamente la base della musica. Del resto la poesia lirica di Alceo, Saffo, Archiloco, Ipponatte, si chiamava così proprio perché era accompagnata dalla lira, mentre quella corale di Pindaro, Bacchilide e Stesicoro implicava un'esecuzione realizzata con i cori. Anche la tragedia greca prevedeva la presenza del canto e della musica e se, purtroppo, oggi non ci è consentito conoscere perfettamente la musica dell'età classica, è a causa del fatto che essa è andata quasi tutta perduta eccezion fatta per alcuni frammenti di difficile interpretazione. Non è facile, in questa sede, riassumere i reciproci interscambi tra musica e poesia nella storia della cultura occidentale, ma si può affermare che il melodramma, nato ad imitazione della tragedia classica, costituisce nel Seicento il tentativo più importante di ricostituire questo primigenio connubio. Oggi musica e poesia si fondono ancora sia nell'opera lirica, coltivata da grandi compositori contemporanei, sia nel pop, nel rock, nel jazz, in tutte quelle espressioni dove c'è' il canto e non solo.
Per quanto riguarda il concerto, oggi assistiamo spesso a rivisitazioni moderne o in chiave jazz di brani più o meno conosciuti, che appartengono alla musica antica, ad esempio al repertorio di Bach, Handel o Monteverdi. Fino a che punto si può parlare di libertà creativa?
Rielaborare una composizione del passato dando ad essa una nuova veste è sempre un atto creativo. Sono lavori che possono piacere o non piacere (dipende dal gusto personale), ma che comunque hanno il merito di far conoscere a un largo pubblico grandi lavori del passato e, certe volte, di suscitare la curiosità di ascoltare gli originali.
Lei si è dedicato ampiamente anche al teatro, sin da Il carro di Tespi. Storia del teatro musicale dall'epoca classica al Cinquecento sino a Casta diva. Il teatro musicale in Europa dall'età rossiniana alla seconda metà dell'Ottocento (entrambi Casa musicale Eco, rispettivamente 2013, 2018) inframezzati da Che farò senza Euridice ? Il teatro musicale in Europa nei secoli XVII e XVIII . Quali sono i punti salienti del suo percorso?
I tre libri da lei citati riguardano tutti la storia del teatro e cercano di essere un contributo, per quanto possibile aggiornato con gli studi più recenti, alla conoscenza di quel grande fenomeno culturale e sociale che è il teatro musicale. In questi lavori ho cercato di far conoscere alcune opere riprese di recente, come l' Adelson e Salvini di Bellini, l' Amleto di Franco Faccio, Giulietta e Romeo di Zingarelli o il Riccardo III di Luigi Canepa, tutte opere di cui si parla, insieme ad altre, in Casta diva. Inoltre ho dato grande importanza ai cast delle prime rappresentazioni, delle quali, laddove è stato possibile, ho citato anche le recensioni, come testimonianza della ricezione contemporanea dell'opera, e alla loro fortuna con le successive riprese. In programma c'è ancora un volume sulla storia dell'opera del Novecento, dove si darà spazio a compositori meno noti e usciti dal repertorio con la speranza che possano ritornarvi presto.
Qual è il suo pensiero in merito agli allestimenti di opere liriche, particolarmente innovativi?
I teatri d'opera fondano la loro fortuna su un repertorio consolidato e allestiscono, ma più raramente, anche opere meno note o uscite da tale repertorio. È normale, quindi, che si cerchi di costruire degli allestimenti innovativi per le opere del repertorio per poter attirare il pubblico. Per la mia formazione filologica, non amo affatto quegli spettacoli che si allontano dal dettato del libretto, con regie e scenografie che a volte travisano completamente il pensiero dell'autore, o della partitura con esecuzioni incomprensibilmente tagliate. Credo che un buon allestimento debba passare innanzitutto per un rispetto totale della partitura, ma anche del libretto. Per carità, introdurre delle innovazioni con moderazione e comunque nel rispetto complessivo dell'opera può dare valore allo spettacolo. Non mi piacciono affatto quelle regie che danno l'impressione di vedere uno spettacolo e di ascoltare un'altra opera.
Lei si è dedicato a due anniversari che ricorrono quest'anno, il bicentenario della nascita di Charles Gounod, e il centenario della morte di Arrigo Boito. Di quest'ultimo parla anche il suo testo Verdi e Boito “All'arte dell'avvenire ”….
È verissimo. Gounod e Boito sono per ragioni diverse due pilastri del teatro europeo dei quali quest'anno si celebrano gli anniversari da lei citati. Boito è stato l'autore privilegiato dei miei studi sin dalla tesi di dottorato in Italianistica, conseguito nel lontano 2006 presso l'Università di Catania. La tesi, intitolata Un caduto cherubo. Arrigo Boito poeta e librettista analizzava la produzione poetica e librettistica di Boito sul piano linguistico e lessicografico anche perché si basava sulla redazione di una concordanza, una forma di dizionario dell'autore grazie al quale si possono scoprire quali sono i lemmi più o meno usati e che tipo di lessico, petrarchesco o dantesco, Boito utilizzò nelle sue opere. Dagli studi svolti nell'ambito del dottorato di ricerca è nata la mia monografia dal titolo similare, Arrigo Boito. "Un caduto chèrubo", poeta e musicista, pubblicata da L'Epos nel 2008, nella quale si parla di tutta la produzione boitiana, comprese quella in prosa e quella giornalistica, e anche della musica del Mefistofele e del Nerone. Il libro da lei citato, Verdi e Boito. All'arte dell'avvenire …. fu pubblicato nel 2013 in concomitanza con il bicentenario della nascita di Verdi e illustra, basandosi largamente sul carteggio Verdi-Boito, la collaborazione artistica e l'amicizia che legò i due grandi artisti con dettagliate analisi del Simon Boccanegra, dell'Otello e del Falstaff.
Per quanto riguarda Gounod l'interesse, piuttosto recente e risalente all'estate scorsa, si concretizzerà in una pubblicazione di cui non anticipo nulla.
Di recente ha tenuto una conferenza per la Società Catanese Amici della Musica sulla tematica “Dopo l'oscuro nembo”. La prima versione dell'Adelson e Salvini tra questioni filologiche e prefigurazioni della futura arte del cigno di Catania. Quali aspetti dell'opera vuole evidenziare il suo studio?
Innanzitutto vorrei ringraziare lei, in qualità di vicepresidente, e il presidente della Scam Tony Maugeri per avermi fatto l'onore di tenere questa conferenza sulla prima versione dell'Adelson e Salvini di Vincenzo Bellini. La scelta dell'argomento è stata dettata dal fatto che quest'opera, nella sua prima versione, è stata programmata dal Teatro Massimo Bellini per la stagione corrente di opere e di balletti in seguito all'edizione critica realizzata dalla Ricordi che ha permesso la ripresa della stessa opera nel 2016 al Teatro Pergolesi di Jesi. L'opera è particolarmente interessante, perché, come rilevato nella conferenza, costituisce la testimonianza dei primi passi del giovane compositore catanese nel mondo del teatro d'opera che tante soddisfazioni gli avrebbe regalato. Ascoltarla oggi ci fa comprendere perché questo giovane promettente abbia ottenuto un così grande successo già con quest'opera semiseria "alla francese", cioè con dialoghi parlati e un personaggio Bonifacio che canta e recita in napoletano. Ciò che colpisce dell'Adelson è, a mio avviso, il nascente talento del compositore catanese che, a parte piccole ingenuità come qualche lungaggine nell'ouverture (la riproposizione di parte del ponte modulante nella ripresa), del resto splendida, in quanto un vero e proprio cartone preparatorio di quella del Pirata, mostra alcuni elementi precipui della sua arte. Basti ricordare Dopo l'oscuro nembo, che Bellini riprese integralmente nella celebre romanza di Giulietta Oh! quante volte, oh quante e la cui melodia presenta la caratteristica espressività belliniana con patetiche appoggiature che sottolineano il testo e sembrano evocare dei sospiri. V i sono elementi come l'uso del 6/8 nel coro Noi qui l'attenderemo , frazione di tempo spesso usata da Bellini per i cori di popolani come per esempio quello iniziale della Sonnambula, con il quale presenta una lontana affinità tematica almeno nella parte dell'accompagnamento orchestrale. Certamente non mancano le influenze, soprattutto rossiniane, in particolar modo nella parte di Bonifacio, o mozartiane, rilevabili nel disegno cromatico discendente dell'introduzione di Immagine gradita , che si ispira al Quartetto n. 13 in re maggior K. 173 (quarto tempo) di Mozart per rappresentare l'immagine del dolore.
Anna Rita Fontana
29/6/2018
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