Madame Mozart
Intervista a Carmela Remigio
Vien fatto di chiederle, come si faceva un tempo protetti dal buio pesto di un compiacente confessionale: “Quante volte, figliola?”.
Quante ha volte ha peccato la “purissima” Donna Anna per il solo fatto d'essersi lasciata attraversare dalla serafica e procellosa Weltanschauung di Don Giovanni che non si può dire non le cantasse e non le contasse chiare: “Chi a una sola è fedele/verso l'altre è crudele; io, che in me sento/sì esteso sentimento,/vo' bene a tutte quante:/le donne poi che calcolar non sanno,/il mio buon natural chiamano inganno”.
E quante volte, allora, ha “peccato” - in qualità (mai termine potrebbe essere, qui, più calzante) di Donna Anna – la talentuosissima, conclamata, contesa Carmela Remigio - volto stupendo, terso da qualsiasi nube di compromesso eppure pronto a farsi segnare, come il ritratto di Dorian Gray, dai più devastanti moti dell'animo, se così detta la sua creatura scenica del momento?
O quante volte, o quante Donna Anna, è presto detto.
Madame Mozart, così la chiamano ormai persino nel tempio impietoso di Amadeus, il Festival di Salisburgo, ebbene il soprano pescarese, “prima cittadina” del pianeta Musica, oggi Premio Abbiati, già pupilla d'oro di Pavarotti, per e con Donna Anna ha sofferto almeno 400 volte se si contano quelle previste dal Festspiele 2016 che mette in scena “Don Giovanni” alla Haus für Mozart, la Remigio al fianco di Ildebrando D'Arcangelo e Luca Pisaroni, rispettivamente Don Giovanni e Leporello.
“Vecchia” e amatissima conoscenza del Teatro Massimo Bellini di Catania (a parte Violetta e Donna Anna, fu anche l'applauditissima, struggente, “cantattrice” di Mimì nella gloriosa “Bohème” della tournée in Giappone), per i suoi 40 anni e un sospiro, Carmela vanta una quantità titanica di ruoli. In testa, l'irreprensibile e sciagurata figlia del Commendatore.
“Donna Carmela”, si può dire che Donna Anna “pretenda” tanto quanto Mimì?
“Sì, perché vivono entrambe d'una sospensione emotiva ma Anna è più complessa. E' ambigua, è interiormente combattuta. Figlia del Commendatore - un esponente politico che qui potrebbe anche rappresentare l'Ambasciata - fa le veci della madre che è venuta a mancare sicché non è più una ragazzina, ha la responsabilità di portare avanti certi doveri sociali. È promessa ad un uomo importante che prenderà il posto del padre ma la felicità dov'è? È solo ciò che gli altri vogliono e devono vedere. Perciò lei sarà irrimediabilmente bruciata dal “passaggio” di Don Giovanni nella sua vita. Forse la sua esistenza continuerà a scorrere a fianco di Ottavio ma lei sarà segnata comunque dall'ambiguità di non poter dire al mondo ciò che prova”.
Uno dei tre padri fondatori del Festival di Salisburgo nel 1920 con Max Reinhardt e Richard Strauss, ovvero il poeta drammatico Hugo von Hoffmansthal, scrisse “L'uomo difficile”. Lei, invece, definisce generosamente Don Giovanni l'uomo “imperfetto”. Insomma la “carogna”, tipologia amata-odiata dalle donne, tutte o quasi?
“È inevitabile essere catturate da qualcosa o da qualcuno che si rende inafferrabile”.
Perciò rivedersi in Donna Anna è naturale anche lei. Non le piace giocar facile?
“A nessuno piace giocar facile. Poi, però, riconosci che equilibrio e felicità stanno altrove”.
Claudio Abbado (che la chiamava spesso “Carmelina”) e Peter Brook, due fari dell'arte e per l'arte anche per la serissima, appassionatissima Remigio. Quali “tasselli” hanno aggiunto alle sue creature?
“Che cosa NON hanno aggiunto, semmai! Averli incontrati all'inizio della carriera è stata una benedizione. Abbado, immensa personalità della musica, ha influenzato il mio pensiero interpretativo indirizzandolo verso la ricerca e verso il desiderio di tornare a “quel” modo di far musica. Ma sempre con il sorriso e la complicità dei colleghi, Abbado ti sceglieva solo se parlavi anche tu questo linguaggio. Brook, operando direttamente sul corpo dell'attore, mi ha guidato al gioco scenico come nessuno. Ieri, leggevo una sorta di motto di Einstein: la creatività è contagiosa, passatevela. Ecco, con Brook è la stessa cosa”.
Una sera d'anni fa, a metà tra Cenerentola e Sandie Shaw, Carmela si trasformò nella “cantante scalza”. Dietro le quinte, infatti, mentre attendeva di conoscere la vincitrice (che poi era Remigio Carmela) le si ruppe il tacco della scarpina con il brillantino. Ed era lei e solo lei a doversi precipitare per ricevere il Premio Pavarotti. “Per un minuto restai di sasso ma ci misi pochissimo a liberarmi delle scarpe ché adoro andare scalza. Me le tolsi con un lancio ed entrai in scena a piedi nudi”.
Più che un coach speciale (è stata al suo fianco in ben 70 concerti) Pavarotti è stato per lei – e non solo – un umanista della musica. Il suo ricordo più prepotente di “Lucianone”?
“Le sue lezioni passavano sempre attraverso la sua filosofia di vita, gli piaceva trasmettere prima di tutto attraverso il pensiero. E mi diceva sempre: prima di criticare qualcuno, tenta di capire se quella persona ha qualcosa più di te. Nei discorsi a tavola o a lezione, non l'ho mai sentito parlar male di un collega, era un grande padre nel senso più alto del termine. Del resto non sarebbe arrivato mai dov'è arrivato se non avesse accompagnato alle sue doti una profonda filosofia di vita”.
Che cosa crede che abbia portato il favore del pubblico, degli addetti ai lavori in generale e dei soloni della critica in particolare a ribattezzarla “Madame Mozart”?
“Forse la perseveranza nel perseguire la fedeltà a ciò che è stato scritto e lasciato in eredità da uno dei più grandi geni della musica”. Apre il suo spartito ed è subito sacralità inchiodante. “Le indicazioni che vede segnano il percorso e lo scavo continuo. “CA” sta ad indicare le “dritte” di Abbado, “TP” quelle di Tony Pappano. Tutti segnali che ho seguito negli anni e che mi hanno permesso di analizzare un linguaggio che non conoscerai mai fino in fondo. In ogni parola, in ogni consonante c'è un mondo che può farti cambiare binario E' il grande fascino della musica di Mozart che non ho mai voluto abbandonare in questi anni. Spero che non mi abbandoni lei!”.
Abruzzese impastata di Sicilia, Carmela. Siciliano il nonno, Salvatore Maragliano, di Raffadali.
“Sento la Sicilia in casa da sempre, nell'educazione tetragona di mia madre specialmente. Ma la sapeva più lunga mia nonna Carmela, siciliana lei pure, ovviamente. A un certo punto, allarmata, disse a mia mamma: “Ma che cosa le stai facendo studiare? Il mestiere di girare il mondo? Questa non torna più!”. E mia madre, con una strana sicurezza, scosse la testa: “Seeee! È piuttosto un modo per tenerla a casa a studiare” Ci aveva visto giusto la nonna, invece!”.
E, quasi a restituire la cortesia, in Sicilia ha debuttato, a soli 19 anni. Al Massimo di Palermo e in punta di piedi. Come “Alice” di Testoni. Da lì in avanti, però, il canto smise d'essere una “illusione” come tuonava la sua maestra di violino.
“Quando seppe che m'ero iscritta a due classi – violino e canto – s'arrabbiò da matti. Ma se così giovane la strada che appare segnata è una e non l'altra, non è più un'illusione. Certo non è un ambiente “leggero” il nostro, specie se vi si resta a lungo. Ma il dovere primario resta la ricerca di qualcosa di nuovo, ad un artista non è concesso di fermarsi. Mai. A nostro modo, siamo ricercatori anche noi, di strade e di pensiero. Tuttavia all'epoca non avevo affatto la percezione di tutto questo, ero solo una ex adolescente che sognava. Con i piedi per terra, però”.
Il leggendario Pierluigi Pizzi da un canto, Vick e Michieletto dall'altro. Ricercare significa, talvolta, “dover” trasgredire. Ha mai contestato una regia che spingeva troppo il pedale mettendo a dura prova il cantante? La scuola tedesca non scherza, per esempio.
“Per conto mio, ho sempre cercato un compromesso e continuo a farlo. Possono esserci cose che non condividi ma non sei tu a firmare la regia sicché anche da parte nostra, in qualità d'interpreti, occorre rispetto per chi ci chiede di fare il nostro lavoro. E dunque metterci a disposizione come artisti della scena e basta. È legittimo discutere purché si cerchi un punto d'incontro. Certe esagerazioni sceniche, poi, imperavano vent'anni fa, oggi la messinscena vive momenti di giusto ridimensionamento”.
In calepino, marcia una invencible armada di donne…all'opera. Margherita di “Faust” a Firenze (dopo, anche “Idomeneo”), Elisabetta di “Maria Stuarda” a Roma, “Così fan tutte” ad Oviedo. E, inaugurata la prossima stagione del Teatro alla Scala con “L'incoronazione di Poppea”, per Carmela Remigio è previsto un ritorno nella tana del lupo: il Massimo di Palermo la vuole in “Norma”, nella primavera del 2017. Come già a Bologna, lei sarà Adalgisa, Mariella Devia vestirà i panni di Norma.
E se un giorno la chiamassero “Madame Bellini”?
“Magari! L'universo musicale belliniano è molto più poetico di quello di Donizetti: quest'ultimo è terragno, non sempre è aulico e, a volte, la sua scrittura musicale s'impenna sino a diventare nevrotica”.
Al di là dell'incanto del melos, non trova che l'orchestrazione belliniana “denudi” pericolosamente il cantante?
“Sì, è vero, il belcanto ti lascia nudo. Come Mozart, in fondo”.
Al di là della solita letteratura gastronomica, che ricordo conserva di Catania in quanto comunità musicale d'ascolto?
“Semplicemente meraviglioso. A parte “Bohème”, “Traviata”, “Don Giovanni”, rammento un “Rinaldo&Co” di Haendel-Corghi in cui il “classico” teatro d'opera decideva di mettersi in gioco alla grande e in una cosa assolutamente fuori dal comune. Al Teatro Bellini ho vissuto anni bellissimi”.
Pavarotti non disdegnava le cosiddette contaminazioni o, come preferisce chiamarle il maestro Mario Brunello, le mescolanze di generi musicali. E lei?
“Per quanto mi riguarda, possono attendere. Almeno per ora”.
Ma se le venisse in mente qualcosa?
“Se mi fosse venuta in mente qualcosa, l'avrei già fatta”.
Sicilianissima è, verrebbe da pensare. Ma poiché abbiamo appena deprecato i cliché letterari sulla Sicilia, non lo diremo.
Carmelita Celi
5/8/2016
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