Barcellona: La vita è meravigliosa
Gran Teatre del Liceu, 10 Gennaio
La protagonista di Iolanta – e pare di sentire parlare l'autore – arriva a questa conclusione sulla fine dell'ultimo titolo lirico di Cajcovskij. Opera che solo a poco a poco sta arrivando a imporsi come il vero capolavoro che è e che ci racconta il viaggio non solo della principessa cieca dall'ombra verso la luce, ma quello di tutti noi e magari anche del suo creatore che pure aveva vissuto una vicenda tutt'altro che meravigliosa. Di quest'ultima lezione, di questa volontà disperata di affermazione dovremmo essere grati al grande Peter Ilich.
Per la prima volta al Liceu in forma di concerto, è stata una vera fortuna che la versione proposta fosse all'altezza della circostanza. Una visita di solisti, coro e orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo agli ordini di Valery Gergiev, con la partecipazione nel ruolo principale di un'antica ‘allieva' della casa, diventata oggi forse la prima tra le ‘star' del mondo lirico, Anna Netrebko, al suo debutto, come tutti gli altri cantanti, a Barcellona.
E un'opera difficile ma non da ‘divi'. E la Netrebko ha fatto benissimo a scegliere un ruolo che pare tagliato su misura per lei (la voce è oggi di un'importanza incredibile) ma che le ha consentito non solo di cantare e di fraseggiare, mettendosi perfino in luce come interprete (alla faccia delle messinscene di ogni tipo). Da vera grande, la Netrebko ha saputo inserirsi nell'insieme, rispettando e osservando con interesse e segni evidenti di gradimento e soddisfazione il lavoro dei colleghi e degli orchestrali ed il maestro. Se ‘diva' vuol dire una che fa i capricci, canta quando, quanto e come le pare, allora la signora Netrebko è lontanissima dal concetto. Ha cantato tutto il tempo con una voce uguale, calda, bella, facendo prodigi di tecnica e di emissione (gli acuti sono pericolosissimi). Del pari Gergiev si è dimostrato ancora una volta un direttore ideale per questo repertorio che si ‘vede' materialmente nelle dita di quelle mani da vero mago, e la compagine suonava sicura,disinvolta, potente e quasi cameristica (le sezioni di ottoni, fiati, archi potevano sussurrare e tuonare senza transizione alcuna). Peccato che il coro abbia una parte piuttosto modesta in quest'opera perchè era anch'esso bravissimo.
Degli altri solisti va detto che, come la Netrebko , cantavano senza partitura, senza guardare il maestro (che solo un paio di volte si è voltato per qualche indicazione) e che erano tutti adeguatissimi alle loro parti. Che un mezzosoprano dell'importanza di Natalia Ievstafieva accetti di cantare una parte tutto sommato di fianco come quella di Marta è segno sicuro che le cose si fanno bene al Mariinskij: si fa della musica, si è dei musici (e degli attori certo, un po'enfatici delle volte seguendo la tradizione dell'interpretazione russa). Un veterano come Andrei Zorin nell'ingrato ruolo di Almeric ha avuto il suo modo di brillare. I giovanissimi Yuri Borobiev (basso, Bertrand, di mezzi formidabili), Eleonora Vindau (soprano che dovrebbe curare un po' l'estremo acuto, nel ruolo di Brigitta) e Anna Kiknadze (un'altra mezzo, Laura) hanno sicuramente un bel futuro. Forse Alexander Gergalov (Robert) non è esattamente il baritono dei nostri sogni per cantare il suo appassionato amore per la rivale assente ma non si può dire che non sia stato corretto. Benissimo il medico arabo (la coesistenza delle religioni e la tolleranza è un altro ‘messaggio' dell'opera, tutt'altro che secondario) del bassobaritono Edem Umerov. Ma il triangolo vero e proprio si basa sulla figlia (Iolanta), il padre (prima padre che re – e beccati anche questa nella Russia autoritaria di qualsiasi epoca) e il conte Vaudémont che, innamoratosi perdutamente al primo incontro, sarà la causa della guarigione e della metamorfosi della fanciulla in donna. Re René era il grande basso Sergei Aleksashkin, meritatamente applaudito e non solo nella sua grande aria: con la Netrebko erano forse quelli che sembravano più immedesimati nei rispettivi personaggi (verità o arte che importa? O forse arte e verità sono la stessa cosa, tanto per contraddire Leoncavallo?). Più che promessa di avvenire, il tenore Sergei Skorokhov è un magnifico presente, applaudito sì nella sua aria, ma insieme alla Netrebko oggetto di ovazioni (che al maestro seccavano un po') dopo l'incredibile – per la ‘bellezza' certo ma anche per la ‘profondità' – grande duetto con Iolanta, il pezzo chiuso più applaudito di un'opera che giustamente si eseguiva senza intervalli.
Alla fine fiori e applausi per tutti, particolarmente per la Netrebko, Gergiev, Aleksashkin e Skorokhodov (ho scritto l'ordine che mi sembra riflettere la realtà vissuta, ma in occasioni come queste l'ordine non significa un bel nulla). Bravissimi!
Jorge Binaghi
12/1/2013
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