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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Gergiev esegue una rara Iolanta a S. Cecilia

In programma al Festival Ciajkovskij anche l'integrale delle sinfonie

Titolo fra i più controversi e negletti nella produzione operistica di Ciajkovskij, frutto dell'ultima, tormentata stagione creativa del compositore russo, Iolanta registra oggi sempre maggiori presenze nei cartelloni delle istituzioni liriche, insieme a un apprezzamento critico crescente. L'Accademia di S. Cecilia, ad esempio, l'ha inserita in un breve festival dedicato al musicista in occasione dei 125 anni dalla morte, affidato a un direttore di grande temperamento come Valery Gergiev, che con questo titolo vanta una indubbia confidenza. Per lungo tempo trascurata forse a causa del passo drammaturgico peculiare, che elude lo stereotipo del Ciajkovskij perennemente inquieto e preda di laceranti tormenti, questa fiaba dal finale consolatorio mostra un lato inedito della sua bruciante ispirazione. La vicenda della fanciulla cieca, inconsapevole della propria menomazione e dell'aspetto della realtà esterna, guarita miracolosamente dall'acquisita consapevolezza dell'amore, aveva destato il suo interesse molto prima del definitivo concretizzarsi in sostanza operistica. Risalirebbe infatti al 1883 il primo contatto con il lavoro del drammaturgo danese Henrick Herz dal titolo La figlia di re Renato, nella traduzione pubblicata sul “Messaggero Russo”, in seguito rappresentata a Mosca in forma scenica. Forse il percorso simbolico della trama, il suo procedere dalla tenebra sino alla luce, sollecitava segrete speranze o alimentava illusioni nell'animo del compositore. Il miraggio di una integrità inattaccabile, scevra da qualsiasi dualismo, poteva affascinare la coscienza di un uomo lacerato al proprio interno dalla consapevolezza di una omosessualità tanto scandalosa quanto inaccettabile per la società del tempo. In quest'ottica la finzione alla quale è improntata la vita di Iolanta, esclusa dal normale corso dell'esistenza, adombra i mascheramenti e i sotterfugi ai quali era costretto lo stesso Ciajkovskij. Comunque stiano le cose, dopo aver ottenuto la commissione dal Mariinskij di San Pietroburgo, il compositore affidò la stesura del libretto al fratello Modest. Ne scaturì una partitura singolare, screziata da preziosismi nei quali alcuni hanno voluto scorgere prefigurazioni dello stile elusivo ed estetizzante praticato da Debussy nel Pelléas. Piuttosto nelle atmosfere fiabesche si colgono echi dell'Oberon di Weber, autore molto amato dal compositore russo.

La lettura di Gergiev mostra un'adesione totale al mondo poetico di Ciajkovskij. Una sintonia emotiva data da un'affinità naturale con il repertorio e da una frequentazione assidua con questo lavoro, inciso su disco in una pregevole edizione oltre venti anni fa. La resa dei preziosismi orchestrali e l'attenzione coloristica non sacrificano affatto le increspature di un fraseggio costantemente vivo e vibrante. L'Orchestra dell'Accademia, chiamata al cimento operistico (mentre per le successive sinfonie è impegnata la compagine del Mariinskij), segue perfettamente le intenzioni del suo direttore, mostrandosi duttile e capace di un suono ricco e levigato.

Pur senza mostrare spiccate individualità, il cast si mostra affiatato e compatto. Fra i migliori ricordiamo Alexei Markov, un Robert robusto e pregno di giovanile ardore, e Roman Burdenko, convincente sia dal punto di vista vocale che interpretativo nei panni dell'enigmatico Ibn-Hakia, il medico moro che rende possibile la guarigione di Iolanta. Nell'unica aria affidata al personaggio, fra l'altro un brano di peculiare evidenza nel quale l'autore, lungi dal perdersi in vaghi orientalismi, delinea con somma maestria il dualismo fra corpo e anima, si destreggia con sicurezza ammirevole. Pur senza possedere grandi mezzi vocali, Stanislav Trofimov rende bene l'umanità tormentata del re, padre di Iolanta. Apprezzabile il Bertrand di Yuri Vorobiev, debole l'Alméric di Andrei Zorin. Riguardo i due protagonisti, Irina Churilova incarna una Iolanta dolente e fragile. La voce è generosa, anche se non esente da qualche fissità in zona acuta. Migran Agadzhanian dona temperamento e carattere al ruolo dell'innamorato Vaudémont, ma il fraseggio non sempre risulta sufficientemente vario e articolato. Buona infine la Marta di Natalia Yevstafieva, così come le due amiche di Iolanta, impersonate da Kira Loginova e Yekaterina Sergeyeva.

L'esecuzione della Prima e della Sesta Sinfonia offre l'occasione per annunciare l'avvio del festival Stagioni Russe, un avvenimento che mira saldare i legami fra l'Italia e la Russia grazie all'ausilio della cultura e della musica. Un evento presentato in una sala gremita dal Presidente dell'Accademia Michele dall'Ongaro, insieme al Vice Ministro Maria Elena Boschi e ad Olga Golodez, Vice Presidente del Governo della Federazione Russa.

Tornando alla musica, straordinaria la resa delle due sinfonie. Idiomatica la risposta dell'Orchestra del Mariinskij all'universo di Ciajkovskij, così come totale è la sintonia con il suo direttore. L'attacco della Prima apre il sipario su atmosfere tipicamente russe, fatte di paesaggi innevati e di spunti dal carattere popolaresco. Eppure il giovane Ciajkovskij è già un uomo nevrotico e insonne, costantemente in bilico sul baratro della follia. Giergiev riesce nell'arduo compito di far intravedere le crepe del delirio nell'eleganza sostanziale che permea la partitura. Delirio che esplode vigoroso e perturbante nella Sesta. Travolgente l'esecuzione, splendida nell'evidenziare i violenti sbalzi emotivi e l'improvviso manifestarsi di abissali vertigini.

Riccardo Cenci

16/1/2018

Le foto del servizio sono di Musacchio&Ianniello.