L'Italiana in Algeri
all'Opera di Firenze
Felice conclusione della Stagione invernale all'Opera di Firenze con la ripresa de L'italiana in Algeri di Gioachino Rossini, spettacolo creato nel 2010 e coprodotto con altri teatri internazionali.
L'allestimento di Joan Font, che potremmo in parte collocare nel solco della tradizione, trova una giusta chiave di lettura nella continua ricerca del divertimento, mai stereotipato e dozzinale, pertanto la giusta idealizzazione è di affiancarsi alla musica e alla trama con modestia e rispetto. La musica di Rossini è già un supporto estremamente forbito e la brava regista non vuole forzare con una lettura sopra le righe, ma s'incammina sulla strada già tracciata dall'autore e crea una visione molto divertente e d'elegante ironia. In tale ottica è molto efficace anche il lavoro di Joan Guillén, scenografa e costumista, la cui mano peculiarmente estrosa punta su coloratissimi costumi e una scena stravagante e lineare, di ottima fattura, i quali contribuiscono a un ottimo risultato di piacevole e divertente visione. Il pubblico, oltre a chi scrive, ha molto apprezzato.
L'ottima Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino era istruita da Bruno Campanella, una bacchetta che non sentivo da qualche tempo, ma che ha contribuito ai maggiori successi rossiniani negli anni '80 e '90 del secolo appena trascorso. Campanella con Rossini trova un terreno d'elezione e anche in quest'occasione ha confermato la sua ottima conoscenza dello spartito che si è concretata in una lettura elegante, raffinata, ben calibrata nel rapporto buca e palcoscenico e contraddistinta da un'impeccabile omogeneità di colore e timbro. L'unico appunto che potremmo rivolgergli è la percettibile carenza di mordente o brio in alcuni momenti, ma nel complesso è solo un aspetto secondario. Molto buona la prova del Coro istruito da Lorenzo Fratini.
Protagonista era il validissimo mezzosoprano Marianna Pizzolato, la quale ha delineato un'Isabella di ottima fattura sostenuta da una precisa tecnica vocale cui va doverosamente sommato un timbro pastoso, omogeneo e una brillante interpretazione scenica. Marko Mimica, Mustafà, conferma le sue innate doti vocali sfoggiando una bellissima voce dal colore brunito e una brillantezza di fraseggio molto incisivo. Ad essere puntigliosi ci sarebbe da raffinare la parte tecnica, il sillabato e il canto d'agilità spinto lo mettono in taluni momenti a disagio, ma considerando la giovane età del cantante siamo fiduciosi che avrà modo di perfezionarsi, resta oggi una delle migliori promesse in tale repertorio. Tali aspetti sono stati già brillantemente superati e collaudati da Omar Montanari, il quale disegna un divertentissimo Taddeo assolutamente controllato sia nel canto sia nella spassosa interpretazione.
Le note meno felici si registrano nell'interpretazione di Boyd Owen, un Lindoro anche musicale e brillante ma con significative mancanze nel settore acuto, che suona spesso stimbrato, aspro e nasale. Ne fanno le spese in particolare le due arie solistiche del I e del II atto, quest'ultima poi in parte facilitata poiché ha eseguito “Oh come il cor di giubilo” in sostituzione della più impegnativa “Concedi amor pietoso”. Molto bravi e puntuali i cantanti nelle parti di fianco. Sergio Vitale ha avuto il suo momento nella precisa ed elegante esecuzione de “Le femmine d'Italia”, Damiana Mizzi era una puntuale Elvira e Lamia Beuque una precisa Zulma.
Alla recita pomeridiana cui abbiamo assistito il grande Teatro dell'Opera di Firenze era pressoché esaurito in ogni ordine di posto. Il numeroso pubblico ha decretato un convinto e sostenuto successo allo spettacolo anche se non sono mancati pochi isolati dissensi nei confronti del tenore.
Lukas Franceschini
1/4/2016
La foto del servizio è di Michele Borzoni.
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