Ivo a Casale
Il penultimo appuntamento della rassegna PianoEchos '18 – Settimane pianistiche internazionali in Monferrato, giunta alla sua quindicesima edizione, è stata l'occasione per consegnare a Ivo Pogorelich il premio Tasto d'Argento 2018.
Il recital del pianista croato classe 1958 ha previsto due brani assolutamente imprescindibili del Romanticismo tedesco, la Sonata in si minore di Franz Liszt S.178 e le Variazioni sinfoniche Op.13 di Robert Schumann, preceduti dal quanto mai introspettivo e tormentato Adagio in si minore KV 540 di Wolfgang Amadeus Mozart.
Datato 19 marzo 1788, l'Adagio KV 540 di Mozart è un brano isolato, non riconducibile ad altre composizioni. La tonalità di si minore, tanto amata da Bach e usata da Mozart solo un'altra volta (movimento lento del giovanile Quartetto per flauto traverso, violino, viola e violoncello in re maggiore KV 285), permette di veicolare un senso di freddezza, di scoramento, di abbandono, quale compare rarissimamente nella sua produzione, cui si accompagna un'impressione di smarrimento dato dalla costruzione del brano, che procede per frammenti, come se, appena imboccata una strada, l'autore non sapesse come proseguire e cambiasse bruscamente direzione (tratto che ricorda la Fantasia in re minore K 397). Ma, lungi dall'essere uno schizzo non strutturato fermato su carta in un momento di tristezza, esso rivela la struttura di una Sonata scarlattiana: due metà entrambe ritornellate, che si rimpallano, sviluppandolo, lo stesso materiale tematico. La coda chiude il brano in si maggiore, ma arriva come un debole raggio di Sole in inverno che, comunque, non riesce a riscaldare l'atmosfera.
Imponente, invece, la Sonata in si minore S.178 di Liszt, sebbene “sonata” non sia certo il termine più indicato per designarla. Di sonata vera e propria non conserva nulla, se non forse la giustapposizione di temi contrastanti, che qui sono quattro se non cinque. Fu composta nel 1852-53, epoca in cui la sonata classica aveva fatto il suo tempo e quella romantica aveva già visto i suoi esiti migliori: Chopin, di Mendelssohn, Schumann. E con Schumann, Liszt condivideva la visione che il genere dovesse essere riformato alla base, in modo radicale. Ecco allora una sonata in un movimento unico, a struttura ciclica (si apre nel registro grave della tastiera in piano e si chiude allo stesso modo, sparendo nel si subgrave, sullo stesso tema dell'inizio), che è possibile partire artificialmente in due grandi metà (sonata alla Scarlatti), in tre movimenti, con quello lento al centro (sonata classica) o addirittura in quattro, alla romantica, con tanto di sezione più scattante a mo' di Scherzo. Una sintesi geniale dei modi di intendere la sonata, un unicum che non avrebbe mancato di lasciare interdetti i contemporanei («Null'altro che cieco rumore, neppure una minima idea sana»: Clara Schumann), ma anche di ispirare i posteri: nel 1908 Berg darà alle stampe la sua Sonata Op.1, guarda caso in si minore e guarda caso in un unico movimento (sebbene l'attenzione nel suo caso sia focalizzata più sull'armonia che sulla forma, limitata a uno schema di forma-sonata piuttosto tradizionale).
Chiudono gli Studi Sinfonici Op.13 di Schumann (dedicatario della Sonata lisztiana), dove l'intento è quello di approntare una serie di variazioni su un tema (di Ignaz Ferdinand von Fricken) in forma di studi che esplorassero tutte le possibilità timbriche del pianoforte, da trattare come un'orchestra. Ma dal 1834 al 1852, quando Schumann licenziò la versione definitiva, passò molta acqua sotto i ponti. Diverse variazioni vennero aggiunte e tolte e il titolo venne più volte cambiato, da Variazioni sinfoniche a Variazioni patetiche a Studi di carattere orchestrale, a Fantasie e Finale, riferendosi al fatto che l'ultimo brano sviluppa in forma di rondò brillante un tema da Der Tempier und die Jüdin di Marschner. Per quanto riguarda Pogorelich, è difficile discordare dal parere di Martha Argerich: «Questo ragazzo è un genio» e di Karajan: «Nel tuo pianoforte c'è un'intera orchestra». Però quel «ragazzo» ne ha fatta di strada, avrebbe detto Celentano: da quando cioè nel 1980, ventiduenne, non vinse il Concorso Chopin di Varsavia, cosa che paradossalmente lo rese anche più famoso, soprattutto per la reazione di una giurata d'eccezione come la succitata Argerich, che lasciò la giuria, indignata di una bocciatura così miope da parte degli altri. Ad oggi è riconosciuto infatti come una delle poche leggende viventi del pianoforte, e non a caso. Particolarmente evidente è stato per l'Adagio mozartiano, dove il carattere meditativo del brano si è felicemente sposato con una lettura di spiccata intensità. L'Adagio, infatti, richiede una tecnica pianistica che si può tranquillamente definire banale; ma le scarse indicazioni agogico-dinamiche e le scarne linee melodiche fanno sì che, come in un brano bachiano, moltissimo del suo fascino venga demandato all'interpretazione del pianista. E in questo caso vi è stata un'interpretazione smaccatamente romantica, con tanto di ritenuti ad arte. Ogni nota, anche le più trascurabili, quelle che restano di solito confinate in un non meglio specificato “accompagnamento” della melodia, hanno avuto un peso e un significato tale da contribuire fattivamente al messaggio complessivo del brano. Il tempo si è dilatato, facendo vagare la mente, mentre senza fretta venivano eseguite entrambe le ripetizioni (talvolta omesse). Ha fatto sorgere un dubbio l'assenza dell'arpeggio negli accordi di batt.32 e simili: scelta stilistica o uso di un'edizione senza il segno dell'arpeggiato?
Curiosamente, meno convincente la lettura della Sonata e degli Studi . Pogorelich adotta un atteggiamento piuttosto lasso nei confronti di queste due pagine che contengono momenti di autentica tensione drammatica, e rinuncia a un coinvolgimento convinto. Laddove in Liszt ci si dovrebbe abbandonare ad un'esecuzione strepitosa (cioè, letteralmente, con strepito), aggettivo ricorrente nei brani dell'Ungherese (Studi trascendentali in primis), Pogorelich mantiene un distacco e un'impassibilità che conferiscono freddezza, pur rimanendo la tecnica e la sottolineatura delle curve melodiche inappuntabili e perfette. L'Allegro che arriva poco dopo l'apertura e, sì, Allegro, ma non propriamente energico, come chiede Liszt. Lo stesso dicasi per gli Studi, dove la verve arriva, e neanche al massimo delle sue possibilità, nel grandioso finale. Il resto del brano è condotto sul filo dell'impeccabilità, preceduto da cinque variazioni omesse nella versione finale e qui anteposte, come da tradizione, a quelle divenute ufficiali.
Christian Speranza
11/10/2018
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