Strepitoso Jansons
al Festival di Lucerna
Prodotto della formidabile fucina di talenti dell'allora Unione Sovietica, Mariss Jansons annovera indubbiamente fra i direttori più grandi del nostro tempo. Alla fine della Seconda Sinfonia di Sibelius, presentata al Festival di Lucerna nella sua declinazione pasquale, resta immobile per un tempo che sembra infinito, mentre la tensione accumulata nel corso dell'esecuzione pare sublimarsi in un momento epifanico, di quelli che raramente si materializzano in una sala da concerto. Poi il pubblico esplode in una interminabile ovazione, ed è un vero trionfo. Ogni esecuzione di Jansons è una lotta per la vita, una esplosione di forze sovrannaturali. L'essere sopravvissuto a un attacco di cuore che lo colse sul podio, mentre dirigeva la Bohème di Puccini, lo ammanta di un'aura al limite del trascendente. La sua maniera direttoriale, con le braccia a descrivere cerchi immaginari nello spazio, ha un che di rituale e ieratico. L'Orchestra della radio Bavarese lo segue alla perfezione, sfoggiando un suono a dir poco magnifico, esaltato dall'ottima acustica della Konzertsaal.
Jansons sgombra subito il campo da qualsiasi tentazione a inquadrare Sibelius nell'ambito ristretto del nazionalismo romantico. Pur screziata da sottili ambiguità e percorsa da inquietudini tipicamente nordiche, a ben guardare la Seconda Sinfonia è sorretta da una struttura formale di classica e rigorosa economia. Di questa solidità costruttiva Jansons è perfettamente consapevole. La sua lettura è inesorabile nelle progressioni drammatiche, innervata da una tensione narrativa che non conosce cedimenti, mai eccessivamente enfatica e magniloquente. I turbamenti psicologici e le ossessioni dell'autore entrano nella visione d'insieme, ma non incrinano l'edificio sinfonico. Quando giunge il finale, le ombre e i frammenti dell'universo appena evocato sembrano addensarsi in maniera naturale, come quando le nubi cedono improvvisamente spazio alla luce del sole. L'apoteosi conclusiva è un tripudio sonoro che non sacrifica in alcun modo la partecipazione emotiva.
Perfettamente aderente al credo professato da Jansons l'esecuzione della Prima Sinfonia di Prokof'ev, che apriva il concerto. Si tratta di un'opera nata come reazione agli eccessi del romanticismo, con l'intento di recuperare un'idea di musica pura, scevra da qualsiasi sovraccarico sentimentale. In una ipotetica macchina del tempo il russo Prokof'ev, forte del suo proverbiale umorismo e di una tecnica prodigiosa, incontra l'austriaco Haydn, padre indiscusso della sinfonia. L'operazione non è per nulla passatista. Sfumature nostalgiche appaiono in lontananza, in particolare nel Larghetto, nell'ambito di un affresco nel quale dominano i toni brillanti. La lettura di Jansons esalta la ricchezza della strumentazione e la modernità della partitura. Tutto scorre in maniera nitida e luminosa, grazie anche al magistrale virtuosismo dell'orchestra, restituendo quest'opera nella sua esaltante spontaneità e freschezza.
Fra le due Sinfonie il Concerto per pianoforte KV 482 di Mozart, solista Emanuel Ax. Anche in questo caso nulla appare lezioso, tutto è profondamente meditato. Prezioso l'apporto dei fiati, capaci di tratteggiare atmosfere notturne di ammirevole nitore. Ax mostra un controllo supremo del suono, unito a doti tecniche indiscutibili. Nativo di L'viv, nell'attuale Ucraina, conosce bene le inquietudini di queste terre eternamente contese e tormentate da sanguinosi conflitti. I suoi bis chopiniani (il Notturno op. 27 n. 1 e l'Improvviso op. 29 n. 1) sono pervasi da un pensosità che li sottrae a qualsiasi stereotipo riguardo il compositore polacco.
Un bis di stampo pianistico, ovverosia il terzo dei Moments Musicaux di Schubert nella versione per archi, ha concluso un concerto dall'impatto formidabile, salutato da una sala piena in ogni ordine di posti.
Piuttosto numeroso anche il pubblico del giorno precedente, accorso per ascoltare l'ultima fatica di Wolfgang Rihm, il che spinge a riflettere riguardo la diversa accoglienza riservata alla musica contemporanea nel nostro Paese rispetto ad altre realtà europee. Dalle nostre parti si tratta, con rare eccezioni, di eventi frequentati in prevalenza dagli addetti ai lavori, mentre in altri contesti si registra una curiosità vivace riguardo quanto accade nel mondo di oggi. Tanto più che Rihm è una di quelle personalità che non passano inosservate. Quando si assiste a un suo concerto, si esce sempre con l'impressione di aver ascoltato qualcosa destinato a rimanere, nonostante il carattere pericolosamente effimero del nostro tempo. Coraggiosa l'idea di comporre un Requiem, confrontandosi con una tradizione che ha prodotto opere straordinarie, e con un tema che impone una riflessione profonda, apparentemente contraria alle tendenze prevalenti della modernità, incline al consumo superficiale e vorace. Nel confezionare un testo eterogeneo, composto dalla commistione del latino con i versi di Michelangelo, di Rainer Maria Rilke, di Johannes Bobrowski e di Hans Sahl, Rihm asseconda il carattere disomogeneo del tempo presente, seguendo nel contempo l'illustre esempio brahmsiano, che nel suo Requiem si svincolava dal canone liturgico della missa pro defunctis. Il riferimento a Michelangelo ha un famoso precedente in Britten, mentre l'introduzione di un poeta come Hans Sahl riporta alle tematiche dell'estraneità e dell'esilio. L'idea della morte permea la scrittura di una profonda mestizia, non immune da fugaci incursioni in un tardo romanticismo soffuso di echi mahleriani. Toccanti gli interventi del baritono, un Hanno Müller-Brachmann particolarmente espressivo, al quale è affidato il compito di incarnare le profonde riflessioni michelangiolesche sulla fugacità dell'esistenza. Brave anche Mojca Erdmann e Anna Prohaska, impegnate in tessiture particolarmente impervie. Ottima la prova del coro, di cristallina evidenza l'esecuzione orchestrale. Apriva la serata Gruss-Moment 2, un brano del 2016 in memoria di Pierre Boulez, una successione di litanie dedicate a un gigante della nostra epoca. Anche nella musica contemporanea Jansons mostra uno scavo che, oltre il puro virtuosismo strumentale, penetra l'intima sostanza della musica con impressionante lucidità.
Riccardo Cenci
19/4/2017
La foto del servizio è di Priska Ketterer.
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