Benvenuta in Italia, Violanta!
Gradisci un Matrimonio?
Il preventivato Zauberflöte annunciato durante la presentazione della stagione lirica 2019/2020 del Teatro Regio di Torino per il mese di gennaio è stato sostituito dal Matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, che porta in questo caso la firma della regia (moderna ma una volta tanto intelligente) di Pier Luigi Pizzi: si tratta dell'allestimento presentato per il Festival della Valle d'Itria, edizione 2019. Ciò che lo rende valevole è l'aver mantenuto lo spirito di fondo dell'opera originale, seppur traslato in epoca contemporanea (o in una sua suggestiva parodia). Nel «dramma giocoso» uscito dalla penna di Giovanni Bertati, il vecchio Geronimo, ignaro che una delle sue due figlie, Carolina, si sia segretamente sposata col servo Paolino, vorrebbe dare in sposa l'altra rampolla, Elisetta, al conte Robinson, ricco pretendente inglese, grazie al quale spera di dare inizio alla scalata sociale: «Ad ogni costo / voglio avere un diploma / che della nobiltà mi metta al rango, / ché chi ha dell'oro ha da sortir dal fango», dichiara a poche battute dall'inizio. Nello scenario immaginato da Pizzi, la casa di Geronimo, più che un a un freddo, asettico loft, somiglia a un'esposizione di arte contemporanea e di alto design, coi Concetti spaziali-Attese di Lucio Fontana (i famosi “tagli”: una delle poche volte in cui i... tagli in un'opera non sfigurano!), i cretti di Alberto Burri e le sedie Wassily di Marcel Breuer: ma tutto concorre a suggerire l'immagine della «gente nova e i sùbiti guadagni» di dantesca memoria, del parvenu che ostenta la sua collezione, messa insieme più per investimento che per vero amore per l'arte. Sotto questo aspetto, l'arrivista Geronimo riesce a essere credibile pur esprimendosi nell'italiano da opera buffa di fine Settecento in un contesto e in un ambiente ad esso del tutto alieno. Carolina Lippo è la Carolina di Cimarosa, moglie segreta di Alasdair Kent, alias Paolino. Markus Werba, ex Papageno della ripresa mozartiana torinese del 2017, è il fascinoso conte Robinson, mentre Marco Filippo Romano è perfettamente a suo agio nella parte di Geronimo. Seguono Monica Bacelli, ovvero la zia Fidalma, ed Eleonora Bellocci, la capricciosa Elisetta. Tutti sotto la direzione di Nikolas Nägele, che debutta al Regio di Torino.
Pier Luigi Pizzi firma anche la seconda delle opere in cartellone a gennaio: una ventata di novità che ha ragion d'essere più ancora del Matrimonio, soprattutto perché Violanta debutta ufficialmente in Italia. Mai prima d'ora, infatti, il titolo, composto dall'allora diciassettenne Erich Wolfgang Korngold su libretto di Hans Müller (e, tocca dirlo per la straordinaria precocità e maturità della scrittura, suo secondo confronto col mondo teatrale, dopo Der Ring des Polykrates scritta un paio d'anni prima) e andato in scena per la prima volta all'Hoftheater di Monaco il 28 marzo 1916 sotto la direzione di Bruno Walter, era approdato alle sponde italiane. Il merito è ancora dell'ex direzione artistica del Teatro Regio, eredità raccolta e portata avanti dall'attuale sovrintendente e direttore artistico Sebastian Schwarz.
Opera fascinosa, Violanta, di quel gusto primonovecentesco post-wagneriano che fa dell'orchestra allargata, dei timbri aspri e inusuali, delle armonie dissonanti e di linee vocali che, rinunciando alla cantabilità all'italiana, seguono da presso il testo, plasmandosi sulle parole, i suoi punti di forza, uniti a una trama estremamente psicologica, che tanto concede allo scavo introspettivo dei personaggi, cui si presta il bisturi analitico della neonata psicanalisi freudiana, quanto sottrae all'azione scenica, ridotta al minimo necessario – sulla falsariga di quanto accadeva già per il Tristan und Isolde, dai cui lombi in qualche modo discende.
Come un'altra delle opere in atto unico di un altro autore coevo di Korngold, Eine florentinische Tragödie di Alexander von Zemlinsky (che peraltro fu uno degli insegnanti di Korngold), anche Violanta trae ispirazione dall'Italia rinascimentale, epoca avvolta, nell'immaginario della letteratura, da una cortina ancora tutta romantica di sordidi complotti, fatti d'arme e tresche amorose. Da Firenze ci spostiamo nella «Bella Venezia! / Amabile!» notturna, irreale e onirica di Pizzi che ricorda le atmosfere sospese di Crooner di Kazuo Ishiguro: un grande ocello tondo a campeggiare gigante sul palcoscenico, che guarda idealmente su un canale veneziano, la Giudecca, secondo il libretto (e che in questo ricorda certe più gentili scenografie dei Contes d'Hoffmann), un divano e tutt'attorno tende e panneggi rosso vivo. Rosso sangue, viene da pensare, reso più inquietante dalle luci di Andrea Anfossi. Su questa scena fissa si muovono i personaggi in costumi anni Dieci-Venti, sempre par Pizzi, dalle raffinate silhouette boldiniane. In sintesi, l'antefatto che si viene a scoprire è che la novizia Nerina, dopo essere stata sedotta e abbandonata da Alfonso, figlio illegittimo del re di Napoli, si suicida annegandosi. Con l'intento di vendicarla, Violanta, sua sorella, durante la festa di Carvenale, seduce Alfonso con una canzone e lo convince ad appartarsi in casa sua, pregando il marito Simone Trovai, capitano della Repubblica di Venezia, di ucciderlo al segnale convenuto. Il segnale sarà quella stessa canzone usata per sedurlo. Senonché, in quel tempo che intercorre tra l'arrivo di Alfonso in casa Trovai e il sopraggiungere di Simone, Violanta fa in tempo ad innamorarsi, per un perverso meccanismo psicologico, proprio di Alfonso, al punto da interporsi fra lui e la spada di Simone, che dopo averla trafitta resta a piangerla impotente, mentre Alfonso si allontana. La seduzione di cui era stata preda Nerina ricade su Violanta. E intanto il seduttore, come è entrato in scena così se ne va: come l'enigmatico seduttore del Teorema pasoliniano.
Attorno a questa vicenda, alla quale prendono parte diversi personaggi secondari, Korngold costruisce una partitura di straordinaria complessità e di forte evocazione drammatica, tratto distintivo che lo porterà a scegliere la colonna sonora cinematografica quale forma innovativa di composizione a lui congeniale: uno stile che si ritroverà nel suo titolo teatrale più famoso, Die Tote Stadt, del 1920.
A dirigere l'Orchestra e il Coro del Teatro Regio di Torino, istruito da Andrea Secchi ma stavolta impegnato in un ruolo marginale e fuori scena, è chiamato Pinchas Steinberg, presenza ormai consueta dei regi inverni torinesi, che, solo per le recite di domenica 26 gennaio 2020, di cui si riferisce, e di martedì 28, acconsente per pochi minuti prima dell'alzata del sipario a raccontare qualcosa di sé e della sua famiglia, tutta uccisa in un villaggio polacco durante un rastrellamento nazista, a parte sua madre che, intuendo il pericolo riuscì a scappare in Israele, dove lo metterà al mondo il 13 dicembre 1945: un toccante, commovente dialogo-intervista col sovrintendente Schwarz in occasione del giorno della memoria. Impossibile non istituire un parallelo con Korngold, compositore austriaco ebreo sfuggito alla pazzia hitleriana e a rifugiatosi negli Stati Uniti, dove dedicò le sue energie, come s'è detto, al mondo del cinema.
Il Teatro Regio di Torino recluta per Violanta voci nel complesso molto valide e adatte a questo tipo di ruoli. Si parte con la Violanta di Annemarie Kremer, soprano con notevoli capacità di dominare il registro grave come quello acuto e dotata di una naturale drammaticità che la porta ad essere molto, molto convincente, soprattutto nei due grandi duetti, quello con Simone e quello con Alfonso. Simone, alias Michael Kupfer-Radecky, baritono, può vantare voce scura, robusta e corposa. Meno bene per l'Alfonso di Norman Reinhardt, tenore che, se vocalmente, pur con qualche sforzo e qualche difficoltà di troppo (ingolato, voce che corre poco per il teatro), riesce a reggere la sua parte, dal punto di vista attoriale risulta freddo, inefficace. Certo, non si tratta del seduttore alla Don Giovanni, sbruffone e sicuro di sé, ma non si può neanche immaginarlo raggelato in quell'immobilismo visto sulle scene: non si capisce perché la Violanta di turno dovrebbe innamorarsene. Meglio, stando sulla voce di tenore, il pittore Giovanni Bracca, incaricato a inizio d'opera di portare il messaggio che Alfonso andrà a casa di Simone e Violanta. Il più importante dei comprimari si dimostra valida spalla per Simone e dotato di canto squillante e magnetico.
Seguono i ruoli minori, interpretati da Soula Parassidis (la cameriera Bice, soprano), Anna Maria Chiuri (Barbara, la nutrice di Violanta, mezzosoprano, il ruolo più di spicco tra i minori, per la quale viene chiamata un'interprete d'eccezione. Perché venga vestita come una vedova del sud Italia resta un mistero), Joan Folqué (Matteo, tenore), Cristiano Olivieri (Primo soldato, tenore), Gabriel Alexander Wernick (Secondo soldato, baritono), Eugenia Bryanova (Prima ancella, soprano) e Claudia De Pian (Seconda ancella).
Steinberg si trova notoriamente a suo agio con partiture di ampio respiro e dall'orchestra intensa e nutrita. Il suo terreno d'elezione sono pagine come queste, dove la componente strumentale si fonda con quella vocale in un tutt'uno superiore. Lievi intromissioni nelle linee vocali, per cui le voci rimangono coperte dallo spesso tessuto sinfonico, sono trascurabili in una direzione che riesce a evidenziare con sorprendente nitore la ricchezza e la raffinatezza della strumentazione quasi strumento per strumento. Ottima prova per l'Orchestra del Teatro Regio di Torino, che svetta per eleganza di suono ed efficacia nella resa globale come solistica.
Christian Speranza
9/2/2020
Le foto del servizio sono di Edoardo Piva.
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