La Wally
al Teatro Comunale di Modena
Il Teatro Comunale “L. Pavarotti” di Modena ha il grande merito di offrire al pubblico un'opera purtroppo dimenticata: La Wally di Alfredo Catalani, una coproduzione con Piacenza, Reggio Emilia e Lucca, città natale dell'autore. Bizzarro caso quello de La Wally, tutti conoscono la celebre aria, peraltro bellissima, “Ebben ne andrò lontana”, spesso inserita nei programmi dei concerti e nelle incisioni discografiche dei soprani, ma negli ultimi anni l'opera ha subito una trascuratezza nelle scelte dei cartelloni che potremmo definire assurda. Salvo errori l'ultima esecuzione italiana risale alla fine degli anni '80. Catalani iniziò la stesura della sua ultima opera nel 1889 (morirà di tisi nel '93), tratta da un racconto di Wilhelmine von Hillern, su suggerimento di Arrigo Boito, assieme al librettista Luigi Illica. Il 20 gennaio 1892, La Wally andò in scena al Teatro alla Scala con la direzione di Edoardo Mascheroni, protagonista Hariclea Darclée (futura prima Tosca), e un esito molto buono, visto che ebbe tredici repliche. In seguito fu allestita in altre città italiane ed estere, e quando arrivò ad Amburgo, dove fu diretta da Gustav Mahler, questi affermò che era la migliore opera italiana che avesse eseguito. Per l'edizione al Teatro Regio di Torino (1894) il compositore modificò il finale rendendolo ancora più drammatico, purtroppo non poté assistere all'ennesimo successo. L'opera è stata sempre considerata come la migliore della produzione di Catalani, sia per la bellezza della musica sia per la coerente tenuta drammaturgica. L'autore frequentava la corrente degli “scapigliati”, fu qualificato come wagneriano e sembra avesse pure dichiarato di non amare Verdi, ricambiato anche se in seguito il Giuseppe ebbe a ricredersi. A tutti gli effetti un compositore anomalo ben lontano dalle correnti veriste e più a suo agio con i temi fantastici delle opere nordiche. Catalani usa il cosiddetto leitmotiv, la melodia della celebre romanza è un filo conduttore per tutta l'opera, ma non mancano pagine strumentali di grande pregio come i preludi, un terzo atto con colpo di teatro, e un quarto di autorevolissima fattura, drammatico e di grande ispirazione. In quest'opera è il paesaggio, la neve e il Tirolo, che appare come condizione musicale essenziale, personaggi e avvenimenti sono circoscritti in quell'ambiente, e lo stesso ambiente determina il colore drammatico o lirico della musica e del lavoro teatrale. Non mancarono forti riserve della critica ma l'opera ebbe ampia diffusione arrivando anche in America, grazie ad Arturo Toscanini, amico e sincero ammiratore di Catalani, che la dirigerà più volte, ai propri figli darà addirittura il nome di Wally e di Walter. Si ricorda un'inaugurazione Scala proprio con La Wally nel 1953, protagonista una superba Renata Tebaldi, la quale in seguito realizzò la prima incisione discografica. Qualche sparuta riproposta, poi l'oblio. Pertanto non possiamo che lodare la programmazione di questi teatri che hanno fornito l'occasione di ascoltare se non un capolavoro, un'opera molto interessante nell'evoluzione musicale di fine Ottocento, e sarebbe auspicabile una riscoperta di Catalani attraverso le altre sue opere.
L'allestimento con scene di Fabio Cherstich è abbastanza funzionale creando un ambiente innevato, un ghiacciaio permanente, che segna tutta la drammaticità della vicenda, nella quale l'ambiente ha una rilevante impronta. Bisogna ammettere che è molto difficile realizzare una scena montana e innevata come richiede l'opera, lo scenografo c'è riuscito con mano felice ma non troppo coreografica, ideando anche delle scale seminascoste che funzionano per entrate e uscite valide, puntando soprattutto sulla freddezza dell'ambiente e la crudeltà della vicenda. Riuscitissima la regia di Nicola Berloffa che traccia una lettura tutta focalizzata sulla femme fatal in noir, con la sua crudeltà e sentimenti, che trova soluzione solo nel suicidio finale. Gli altri personaggi ruotano intorno a lei ma sono ben tracciati nelle loro peculiarità, sfaccettature, senza mai ricorrere a stereotipati linguaggi ma realizzando con senso della sobrietà accenti acri e molto teatrali. Belli i costumi di Valeria Donata Bettella, che non scivola sul tipico costume triolese.
Il direttore Francesco Ivan Ciampa ha realizzato una direzione di grande spessore e spiccata musicalità, trovando un perfetto equilibrio tra i diversi stili insiti nella partitura, che è stata realizzata con enfasi e colori davvero ammirevoli, mettendo in luce quanto di meglio in essa contenuta.
Nel complesso molto valido il cast radunato al quale non sono riservate parti facili. Saioa Hernandez è una protagonista convincente sia sotto l'aspetto drammatico sia lirico. Possiede una voce imponente e talentuosa che utilizza con tecnica e grande sfoggio di fraseggio. Non meno valido il Gellner di Claudio Sgura, il quale in un ruolo cosi rude e di vilan trova accenti teatrali e vocali di forte intensità, probabilmente la sua migliore prova da me ascoltata. Più contenuto Zoran Todorovich, Giuseppe, che affronta un ruolo molto aspro con impeto e grande volontà, anche se non sempre perfettamente calibrato. Serena Gamberoni si ritaglia un personale successo nel ruolo di Walter per spiccata baldanza e puntuale esecuzione. Molto bravo Giovanni Battista Parodi, uno Stromminger dal canto levigato e scolpito, al quale si aggiungono la professionale Carlotta Vichi, Afra, e il perfetto Pedone cantato da Mattia Denti.
Il teatro Comunale era quasi esaurito per questa rarità, e al termine il folto pubblico ha tributato un meritato e autentico successo a tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
1/3/2017