La donna del lago
al Rossini Opera Festival
Il Rossini Opera Festival 2016 è stato inaugurato all'Adriatic Arena con un nuovo allestimento de La donna del lago diretta da Michele Mariotti e Damiano Michieletto alla regia. La donna del lago è un'opera lirica di Gioachino Rossini su libretto di Andrea Leone Tottola, il quale trasse il soggetto dal poema The Lady of the Lake di Walter Scott, pubblicato nel 1810. La prima rappresentazione fu al Teatro San Carlo di Napoli il 24 ottobre 1819, l'opera divenne molto famosa in Europa e anche in America, e fu cavallo di battaglia dei più illustri cantanti dell'epoca, successivamente scomparve dai repertori dei teatri nella seconda metà del secolo. Rossini scrisse ai genitori che la sua nuova opera è un soggetto un po' romantico ma gli pareva d'effetto, speranzoso in Dio che andrà bene. In effetti, il pubblico sulle prime restò perplesso, anche se il cast era stellare, decretò l'autentico successo solo alle ultime repliche. Quando Giacomo Leopardi assistette a una recita a Roma scrisse “… eseguita da voci sorprendenti è una cosa stupenda, e potrei piangere ancor io, se il dono delle lagrime non mi fosse sospeso, giacche m'avvedo pure non averlo perduto affatto…”.
La donna del lago è uno dei titoli della grande riscoperta rossiniana operata del Rof fin dalla sua creazione. Per essere precisi vi furono in precedenza alcune proposte dello spartito, casi isolati in contesti di Festival (Maggio Musicale Fiorentino) o di significativi cantanti (Caballé alla Rai), ma bisognerà aspettare il II Rof nel 1981 per avere la prima edizione critica della partitura e un cast di riferimento, almeno per le due interpreti femminili, Lella Cuberli e Martine Dupuy, lo spettacolo era curato da Luca Ronconi con scene di Gae Aulenti (alla quale l'edizione odierna è dedicata). L'opera fu ripresa nel 1983 con altro cast e incisa per Fonit-Cetra, e possiamo affermare che in seguito La donna del lago è eseguita abbastanza regolarmente, allo stesso Rof siamo giunti oggi alla quarta edizione.
Il nuovo spettacolo di Damiano Micheletto, regista tra più affermati e richiesti oggi, trova una chiave di lettura all'opposto del romantico, scavando tra i sentimenti di rinuncia e rimpianto. L'opera è rappresentata in flash-back, poiché all'inizio vediamo Elena e Malcom nella loro vecchiaia ricordare gli eventi remoti del loro amore, soprattutto la rinuncia di Elena ai sentimenti con Uberto e i trascorsi bellici di Malcom, si parla di rimpianto, di rinuncia, ma è ipotetico perché non si può tornare indietro dicendo se gli eventi avessero avuto svolte differenti. Il regista scava dunque nel privato ipotizzando che non tutto è pura felicità, citando le parole finali di Elena. Una lettura anche pertinente ma l'aspetto visivo non è stato al pari. L'opera definita dallo stesso regista “umida” non trova corrispondenza in un libretto (forsanche strampalato) ma sicuramente romantico. Lo stesso romanticismo e la natura selvaggia del poema di Scott si riscontrano in una scena fissa anche efficace, di Paolo Fantin, una casa ottocentesca diroccata e invasa da vegetazione lacustre, ma che alla lunga stanca per fissità. Seguendo poi la linea registica ho provato insofferenza per la continua presenza in scena degli alter-ego anziani dei protagonisti, cui va la lode teatrale trattandosi di Giusi Merli e Alessandro Baldinotti. Mai un cambio scena, ma una staticità incombente claustrofobica negli ambienti dimessi di un'abitazione che potrebbe rappresentare tutto e anche niente. Nel finale si ritorna alla scena iniziale in cui Elena ritorna “vecchia”, ma anche questa scelta seppur coerente avrebbe dovuto suggerire al regista che sarebbe stato opportuno non impegnare la protagonista in un cambio in scena proprio nel rondò finale. Il lago si può intuire dal folto canneto collocato dietro la maestosa struttura dell'abitazione, efficace ma non affascinante. Molto belli i costumi di Klaus Bruns che fanno notare una Scozia ruvida, ma leggermente bizzarro quello di Giacomo V, efficaci le luci di Alessandro Carletti, anche se per volontà di Michieletto sono sempre improntate sullo scuro.
Michele Mariotti, ormai una presenza fissa al Rof, offre una lettura anche interessante ma con molte licenze personali. Doveroso rilevare che l'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna è ben lontana oggi dai sui dorati giorni di anni addietro e si può ravvedere nel settore fiati. Mariotti segue una linea romantica in parte appropriata ma spesso sceglie tempi lenti e colori meccanici seguendo un suo concetto personale e poco attento al cast di cui disponeva. Anche il respiro orchestrale è parso troppo schematico, dove mancava lo slancio e gli effetti che una partitura così peculiare richiede, assolutamente discutibili i tempi eseguiti nel rondò finale con dei pianissimi appena percettibili. Non sono mancati però momenti molto belli come l'entrata di Rodrigo, il finale atto I e la grande scena del duetto poi terzetto del II atto diretto con molta incisività. È auspicabile che nelle recite le cose migliorino, soprattutto nei tempi.
Il coro del Teatro Comunale, diretto da Andrea Faidutti, non emerge per compattezza dimostrando parecchie falle nell'intonazione e nelle sezioni maschili e femminili.
Il Rof dovrebbe essere il fiore all'occhiello internazionale sulle proposte canore, tuttavia in tempi sterili deve attingere alla propria Accademia, scelta forse discutibile, forse appropriata, ma che pone molti dubbi.
La protagonista Salome Jicia ha una voce molto interessante, brunita e ben amalgamata nei diversi settori. Regge con espressione e disinvoltura le agilità e si dimostra capace d'interpretazione vocale appropriata e variegata nell'accento e nel fraseggio. Alla recita cui ho assistito il momento meno significativo è stato il rondò finale, ma come detto in precedenza forse hanno contribuito regista e direttore a non rendere al meglio la pagina, anche in questo caso ci saranno mi auguro degli aggiustamenti.
Juan Diego Florez ritorna al ruolo di Giacomo V/Uberto che ha segnato felicemente la sua carriera e i confronti si fanno solo con se stesso. Un confronto che quest'anno perde per incisività, ma la gamma del settore acuto è ancora salda, la linea di canto esemplare e l'eleganza dello stile intatta. Inoltre inutile ripeterlo, anche se con qualche difetto, resta il migliore oggi in questo repertorio.
Il Malcom di Varduhi Abrahamyan è soprano che si spaccia per mezzo poiché possiede un centro abbastanza corposo. Punta tutto sull'aspetto romantico del canto e ci riesce in parte, ma la zona grave è artefatta e spesso vuota, meglio il settore acuto in cui però la coloratura non brilla, raggiunge una modesta prestazione senza infamia e senza lode.
Molto meglio il Rodrigo di Michael Spyres che sfoggia ancora un'esuberanza vocale degna di plauso. L'aria d'entrata è ben cantata, tolto qualche accento, il registro acuto saldo e molto fiorito nelle note estreme e infine possiamo affermare che il rapporto con l'altro tenore rende con merito lo stile dello spartito.
Note dolenti, purtroppo, per Marko Mimica, Douglas, che pur avendo a disposizione un materiale di prim'ordine dimostra un'assenza totale di tecnica ed emissione, rendendo la sua aria una monotona sequenza di suoni duri e ingolati, e conferma le perplessità avute lo scorso anno nel ruolo del Podestà.
Molto bravi le parti di secondarie, Ruth Iniesta, Albina, e Francisco Brito, Serano/Bertram, timbri solari e ben appropriati nei ruoli secondo lo spartito.
Successo trionfale al termine.
Lukas Franceschini
12/8/2016
Le foto del servizio sono di Amati Bacciardi - ROF.
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