RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Da Lammermoor a Piacenza

Lucia ai Teatini

Il miope (malgrado gli spessi occhiali) Ildebrando Pizzetti, che si commuoveva di fronte agli autografi di Norma e del Rigoletto, davanti a quello di Lucia di Lammermoor restava invece più freddo di un gaspacho. Evidentemente il parmigiano Ildebrando si situava agli antipodi di Fedele D'Amico, che ha lasciato scritto: “Forse nessun'opera ci additò così direttamente il cielo come il capolavoro di Gaetano Donizetti”. Ed il capolavoro dei capolavori donizettiani è fortunosamente approdato la sera di domenica 30 giugno sul palcoscenico dell'Auditorium di San Vincenzo ai Teatini, dopo esser stato sfrattato all'ultimissimo momento dal maldestro quanto improvvido zelo burocratico (un sabotaggio?) del Servizio attività produttive (sic) del Comune di Piacenza. Nella sede prevista, la trecentesca ex chiesa di San Lorenzo diventata all'improvviso “inagibile”, aveva avuto luogo la domenica precedente, con ampio successo e full house, la rappresentazione della Norma di Bellini, primo titolo dell'Estate Opera Festival della Tampa Lirica piacentina concomitante con i festeggiamenti patronali di Sant'Antonino Martire. Ma l'impavido Carlo Loranzi, Presidente della Tampa Lirica (non per nulla da giovane giocava nella nazionale italiana di rugby) è riuscito a salvare in extremis il secondo titolo del festival. Pur senza le scene, rimaste a San Lorenzo, e con meno spazio scenico, lo spettacolo ha poi meritato scroscianti applausi prolungati da parte del folto pubblico.

Se Lucia, dall'attacco dei timpani del preludio fino al canto del cigno di Edgardo, offre una stupefacente successione ininterrotta delle più ispirate, magistrali pagine donizettiane, di volta in volta drammaturgicamente puntuali anche nello stile e nell'idioma strumentale, il valore aggiunto della partitura consiste nell'essere nel suo insieme un'opera semplicemente perfetta.

Alla guida della solerte Orchestra Sinfonica delle Terre Verdiane di Reggio Emilia, Stefano Giaroli ha tradotto validamente con gesto sicuro e sguardo vigile il dettato della scrittura donizettiana, evidenziandone le sfumature più recondite. Si deplorano alcuni tagli, pur comprensibili, oltre che nei da capo – mentre sarebbe stato quasi impossibile eseguire la scena della pazzia con la glassarmonica, prevista all'origine al posto del consuetudinario flauto, e non facilmente reperibile – ma è degno di encomio non avere escluso la scena della sfida di Enrico a Edgardo con il magnifico duetto, necessaria tra l'altro alla coerenza drammaturgica.

Un cast di tutto rispetto, malgrado qualche sostituzione dell'undicesima ora, ha affrontato con brillanti esiti l'impegno di dar vita alla partitura donizettana. Anzitutto la protagonista, l'ucraina Svetlana Kalinichenko, soprano ormai di casa a Piacenza, dove ritorna spesso dalla Polonia in cui risiede. Una Lucia non di routine la sua, incarnata con sentire partecipe espresso da un canto elegante e suadente che, solido al centro, svetta cristallino nel registro acuto. Robusto il versante maschile con il tenore Danilo Formaggia, un Edgardo in stato di grazia vocale, fiero, appassionato, emozionante, contrapposto all'irriducibile rivale, il granitico baritono Marzio Giossi, un “cattivo” grand seigneur, in cui l'impeto dell'ira e l'indole sinistra non vanno mai a scapito del garbo dell'emissione. Quarto ma non secondario il giovane basso Juliusz Loranzi, persuasivo cappellano evangelico Bidebent, rassegnato quanto ambiguo. Nei ruoli minori si sono fatti valere rispettivamente lo squillante e baldanzoso secondo tenore Vincenzo Tremante, lo sposino Arturo imposto a Lucia, l'aggraziato mezzo soprano Paola Lo Curto quale Alisa ed il veemente Normanno del terzo tenore Andrea Galli. Il Coro dell'Opera di Parma diretto da Emiliano Esposito si è mosso poco ma si è egregiamente disimpegnato a suo bell'agio nelle varie, cangianti situazioni. Belli i costumi scozzesi di Artemio Cabassi, che ha gestito, facendo di necessità virtù, una regia ridotta all'osso dal forzato trasloco. Le luci e le videoproiezioni erano di Marco Ogliosi.

Lucia è tragedia di due innamorati di famiglie rivali a cui l'ira dei mortali non perdona di amarsi. Già l'ira dei mortali… Seduto in prima fila davanti all'orchestra, vedevo dipinto sull'altare maggiore nel fondo il martirio di San Vincenzo di Saragozza (IV secolo) con la realistica, raccapricciante visione del martire che si contorce sullo strumento di tortura predisposto da efferati carnefici. L'ira dei mortali appartiene a ogni epoca, la contemporanea tutt'altro che esclusa, e non è necessario andarla a scovare nei libretti d'opera!

Fulvio Stefano Lo Presti

9/7/2019