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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Last Dream

Un sogno su due viaggi incrociati

Due sfide, due precipizi. Due vittorie, due fracassi. Due impavide, testarde, tragiche “alternative” alla (madre?) terra.

Da un canto l'etere infinito di Jurij Gagarin, dalla Russia allo spazio, in quel lontano aprile del 1961; dall'altro, qui ed ora, il mare infinito dei migranti, un mare che non è angry ma agitated (e ci vuole un gran bel accanimento zen a chiamarlo “non arrabbiato ma agitato”) che dovrebbe “incanalarli”, incolumi, dall'Africa all'Europa. È una parola. Come dire, l'ultimo sogno.

E sembra stare a metà tra hybris e utopia il Last dream di Kai Fischer, produzione deflagrante e “liquida” del National Theatre of Scotland, teatro prepotentemente (e legittimamente) nazionale dentro ad una nazione, il Regno Unito, che ha comunque dovuto accettarne la denominazione. E con essa, riconoscerle cittadinanza, pregnanza, eccellenza.

Guidato da Laurie Sansom, a soli dieci anni di vita (ma che vitalità! E che produzioni, una per tutte, “The James plays”, le tre strepitose pièce di Rona Munro su tre generazioni di Stewart che imperversarono nel XV secolo, ad oggi è un successo planetario), il theatre without walls (quante salvifiche vibrazioni possiede il “secondo nome” del teatro) ha ricevuto - insieme con il regista tedesco Andreas Kriegenburg, il drammaturgo spagnolo Juan Mayorga, il regista e drammaturgo francese Joël Pommerat, il regista e attore ungherese Viktor Bodó - il palmarès di Nuova Realtà Teatrale al Premio Europa per il Teatro (in questa XV edizione all'immenso coreografo svedese Mats Ek) che fu inventato illo tempore da Alessandro Martinez. Era il 1987 ed il “battesimo” ufficiale fu officiato all'Hotel San Domenico di Taormina dove il Premio rimase di stanza per ben 9 edizioni prima di muoversi alla volta di Torino e poi Salonicco, Wroclav, San Pietroburgo e quest'anno a Craiova, in Romania. Tuttavia - sia detto per inciso ma neanche tanto - chissà quanti sanno che il San Domenico è luogo deputato e denso di memoria storica giacché, nel 1955, lì si preparò la Conferenza di Messina (fondamentale “preludio” al Trattato di Roma del '57 che avrebbe tenuto a battesimo il Mec poi la Cee e finalmente l'Unione Europea) che culminava, nella notte tra il 2 e il 3 giugno, nei festeggiamenti al canto di Ciuri Ciuri per i nascituri (e poi nati chissà quando, chissà dove) “Stati Uniti d'Europa”.

A Craiova, dunque - quasi in gemellaggio con lo Shakespeare Festival di cui la città rumena è ormai sede accreditata e frequentatissima da dieci edizioni - il National Theatre of Scotland è stato “rivelazione” autentica e di autentica soggezione in termini di talento, “politica” creativa, capacità di osare rivoluzioni pacifiche e inarrestabili come solo un “teatro senza muri” riesce a intestarsi.

Last dream. Il sogno, l'ultimo, è unico ma si spalma su due viaggi incrociati – cielo e mare - incredibili entrambi ed entrambi segnati da verità storica: la missione di Gagarin da un canto e dall'altro (a tal proposito non sono mancati i veri viaggi di ricognizione di Kai Fischer a Lampedusa) il fosco, tremendo peregrinare di chi sogna di prolungare al meglio la propria esistenza con il risultato – come Sam in Last dream – di reciderla anzitempo. E con un'aggravante: la crudeltà d'aver alimentato speranze e sogni (ir)raggiungibili. Perciò l'antifona suona a dir poco sinistra: “Se ce l'hai fatta in Marocco, se non sei morto nel Sahara perché sei caduto da camion che non si fermano per nessuno, se non sei stato catturato dai banditi in Algeria o fatto fuori dai poliziotti in Libia perché aspettare il riscatto è cosa troppo lunga, se non hanno deciso che i tuoi reni valgono più di quanto puoi pagare per tenerteli, se il tuo autista non ti ha abbandonato nel deserto e non ti ha violentato nessuno nel frattempo…”. Nel frattempo, però, motherland hears, motherland knows. La madrepatria sente e sa, capirai.

E, sempre nel frattempo, sarà bene procurarsi un dinghy, il temibile, indispensabile gommone. Nella migliore delle ipotesi potrebbero rubartelo, nella peggiore potrebbe diventare la tua bara.

Nessun pietismo né buonismo dell'ultima ora, nessuna partigianeria giacché la produzione proviene da un pezzo di Europa “del Nord” dunque ad inevitabile distanza di sicurezza dal mare-cimitero. E nessuna epica facile da convenzionale teatro di narrazione. Pure, non potrebbe esservi canto più armonico e racconto scenico più eloquente, più fluido, più catturante di Last dream. Agli attori si chiede un teatro “di suoni” – in scena sono tre gli interpreti “di parola” e due i musicisti a cui comunque sono affidate talune sezioni della drammaturgia – mentre agli spettatori in sala s'impone la visione-ascolto in cuffia, indispensabile perché, hic et nunc, essa diventa attrezzo di stupenda, tecnologica “reviviscenza” stanislavskiana. Solo se “incuffiato”, infatti, ciascuno di noi si separa dal resto della platea e, da uomo solo, si sente parte del missile di Gagarin. Noi pure “inquilini” del minuscolo Vostok 1, noi pure destinatari del martellante “Dawn 1 for Cedar” laddove il primo era il radio call sign assegnato a Sergej Korolev - geniale ingegnere e progettista di razzi sovietici, praticamente “il migliore” - ed il secondo era invece il segnale del mitico Jura, leggendario pioniere del cosmo morto poco più che trentenne a bordo di un piccolo caccia schiantatosi al suolo.

È inevitabile, lirico sogno di vita e di morte, Last dream, a tratti in odore di 2oo1, Odissea nello spazio ché non potrebbe esservi “viaggio” più animato e tormentato da una tracotanza che però non fa rima con arroganza ma è piuttosto avventura condivisa e “lontana” a un tempo e a un tempo appassionatamente stoica, per l'uno e per gli altri.

It's just water. Just lots and lots of water. It's not like the tv, eh? Black. Dark, deep Green. It's agitated. Not angry. Agitated. Endless. Where the fuck is Spain? There's nothing. Nothing. Già. Dov'è la fottuta Spagna in questo mare di niente? Infinito, scuro, verde profondo. Non è mica come in televisione, eh.

Appena poco più in là: “ Dawn 1 for Cedar. Hear you perfectly”, “ Cedar for Dawn 1. Understood”. Prove tecniche di trasmissione. Ti sento perfettamente, Juri Alekseevic. Ricevuto, Sergej Pavlovic.

Le narrazioni s'incontrano senza mai confondersi, le dissolvenze incrociate le fanno i suoni e le due linee di racconto mantengono la loro autonomia storica e drammatica – da un canto l'esaltata solitudine del cosmonauta, dall'altro, telefonini cellulari d'accatto che osano chiamate in cui, con un fil di voce, figli giovanissimi e maturati prima del tempo comunicano le tappe del loro cammino della speranza a genitori spezzati ma tetragoni nel dir loro di andare senza mai guardarsi indietro. In chiusura, è il presente ad inondare tutto il resto così come, in apertura, erano onde, scogli, respiri (an)negati.

E se si saprà che per il giovane africano aspirante europeo non c'è stato nulla da fare visto che, a un passo dal finale, nell'ennesima telefonata una voce sussurra: “Chiamo a proposito di Sam” – la vera falce, inesorabile e politically (in)correct, arriva in quel tragicomico: “Com'è in Europa? Quando si arriva che succede? Avete la pace in Europa, vero?”. Vero?

Carmelita Celi

30/4/2016

Le foto del servizio sono di Tommy ga-ken wan.